
Il ministro e i burocrati del ministero, le leggi, le opere (pubbliche). Il “caso Incalza” scoperchiato dalla magistratura fiorentina è per certi aspetti una non-notizia, nel senso che gli italiani sono purtroppo abituati a questa particolare emersione di fatti e misfatti avvenuti nei meandri dell'apparato amministrativo dello Stato.
Naturalmente siamo in attesa degli sviluppi - e dei riscontri probatori - di un'inchiesta dove le intercettazioni, una volta di più, fanno la parte del ruggente leone. Il quadro che al momento emerge è sconfortante e l'impatto reputazionale che avrà fuori dai confini nazionali non è da sottovalutare.
Nelle analisi delle istituzioni internazionali, pubbliche e private, la corruzione è considerata, assieme all'inefficienza e all'opacità dell'amministrazione e all'invasività della politica, un fattore di grave degrado che impedisce lo sviluppo di un Paese che pure primeggia nel mondo per tasso di imprenditorialità. Tre i punti che vanno esaminati.
Primo. La vicenda tocca il Governo chiamando in causa in particolare il ministro delle Infrastrutture, e politico di punta del Ncd, Maurizio Lupi (oltre al vice ministro Riccardo Nencini e al sottosegretario Umberto Del Basso De Caro). Ministro che, va detto, non è indagato al pari di suo figlio, il cui nome appare anch'esso nell'indagine, e che spiegherà in Parlamento la sua posizione. Un passaggio necessario e già deciso che mette il presidente del Consiglio Matteo Renzi e lo stesso Lupi nelle condizioni, separatamente o assieme, di valutare il da farsi. In questo senso il caso è tutto politico. Renzi e il suo Governo non possono permettersi ombre di sorta su questo terreno così sensibile. Per un esecutivo che ha fatto della lotta al malaffare e dello «Stato di pulizia», come ha detto ieri Renzi, una bandiera politica, non ci sono vie di mezzo. L'ipotesi di un passo indietro del ministro è una possibilità logica che risponde ad un criterio di opportunità e responsabilità politica.
Secondo. Che la burocrazia ministeriale sia una roccaforte del potere all'interno della quale alcuni “mandarini” pubblici edificano pietra su pietra carriere inossidabili e intrecci pericolosi è un dato di fatto.
Il “caso Incalza”, alto dirigente dello Stato-imprenditore, lo conferma in mondo inequivocabile. Chi comanda in Italia, la burocrazia o la politica? Viene in mente una fulminante risposta che un anno fa diede al Quotidiano Nazionale il professor Sabino Cassese: «L'alto dirigente di carriera ragiona così: tu, politico, mi condizioni; io ti stringo nei lacci delle regole o ricorro ai rinvii, all'inerzia». Una sorta di patto non scritto per il quale l'uno (il politico o anche il tecnico, di passaggio al timone di un ministero) ha bisogno dell'altro (il grande burocrate competente che assicura la continuità).
Il tutto, ecco il punto, si basa sulla complessità delle innumerevoli leggi (scritte non di rado male, e forse non a caso) e sulla complicazione amministrativa che oscura ogni passaggio. Ne deriva un sistema opaco e “inconoscibile”, portatore malsano di incertezza di diritto che a sua volta reclama una nuova certezza regolamentare. E così via in un girotondo infinito. Si vuole davvero battere alla fonte la corruzione? Meno leggi e le poche indispensabili scritte in modo chiaro e dettanti regole semplici. «Moltissime sono le leggi in una repubblica molto corrotta», scrisse il grande storico e politico romano Publio Cornelio Tacito. Il mese scorso, l'Ocse ha suggerito all'Italia di «garantire una legislazione chiara e non ambigua».
Terzo punto. Ma insomma, queste opere pubbliche così troppo spesso occasione di sperperi dei soldi dei contribuenti e di paralleli arricchimenti personali, servono davvero? Bisogna distinguere caso per caso, costi e benefici previsti alla mano. Però l'idea che la crescita e l'ammodernamento di un grande paese possa camminare sulle gambe della decrescita permanente degli investimenti pubblici, dalla connessione internet ad alta velocità al binario ferroviario, non funziona: ne sanno qualcosa, senza distinzioni ideologiche tra liberisti e statalisti, Usa e Regno Unito, Germania e Francia. Al contrario, l'idea alberga qui in Italia, dove la spesa pubblica corrente aumenta (e le tasse rincorrono) e la spesa per gli investimenti pubblici diminuisce accompagnandosi ad un degrado infrastrutturale e del territorio che è sotto gli occhi di tutti. Il confronto è impietoso e dal Fondo Monetario alla Commissione Ue dati e raccomandazioni lo confermano di continuo.
Certo, gli investimenti devono dimostrarsi efficienti. E gli uomini, fatte poche leggi chiare, all'altezza del compito. Dice la Costituzione che «i cittadini cui sono affidate le funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore». Principio chiaro e semplice.
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