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I pericoli sottovalutati dell’Europa dei diktat

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emergenza grecia/le analisi

I pericoli sottovalutati dell’Europa dei diktat

Una volta gli ultimatum si davano al nemico per dargli la scelta tra guerra e capitolazione. In Europa la pratica era caduta in disuso negli ultimi 70 anni. Evidentemente mai niente è definitivo. Oggi in un contesto diverso, l’Eurozona, tornano i diktat senza i cannoni e sono diretti ai partner, che in genere è difficile assimilare alla categoria dei nemici.

Doveva essere, quello di ieri a Bruxelles, l’ultimo vertice dei 19 capi di governo dell’euro sul caso Grecia. Doveva essere il teatro dell’accordo per dare il via ai negoziati per il terzo salvataggio del Paese in cambio di nuovo rigore e riforme, dopo che Alexis Tsipras era andato a Canossa coprendosi la testa di cenere e accettando di capitolare di fronte a tutte le richieste dei creditori, anzi offrendo anche qualcosa di più per porre fine all’asfissia finanziaria del Paese. Invece del vertice della ricucitura è diventato quello dei diktat.

I partner (?) hanno dato tre giorni, per l’esattezza 72 ore, ad Atene per ottenere l’approvazione parlamentare di 1) la riforma del sistema Iva con allargamento della base imponibile, 2) il miglioramento della sostenibilità del sistema pensionistico in vista di una riforma globale, 3) l’adozione di un Codice di Procedura civile per accelerare i processi e ridurne i costi, 4) la salvaguardia dell'indipendenza dell’Ufficio di Statistica, 5) la piena attuazione delle regole del Fiscal Compact con introduzione di tagli automatici alla spesa in caso di deviazioni dai target di surplus primario, previa approvazione della Troika, 6) la trasposizione della direttiva che regola il bail-in in caso di default delle banche.

Solo dopo il via libera vincolante a tutte queste misure, accompagnato dall’approvazione parlamentare anche di tutti gli altri impegni contenuti in un elenco di 4 pagine stilato dai ministri dell’Eurogruppo e presentato al vertice, «potrà essere presa la decisione di avviare i negoziati» per far fronte al fabbisogno greco calcolato in 82-86 miliardi, banche incluse. È previsto anche il conferimento in un Fondo indipendente, gestito dalle autorità elleniche sotto la supervisione della Troika, di beni greci per 50 miliardi da privatizzare per abbattere il debito.

«Qualora nessun accordo fosse raggiunto, alla Grecia si offrirà l’uscita dall’Eurozona, con possibile ristrutturazione del debito». L’aut aut è inequivocabile, le richieste quasi impossibili da soddisfare: da anni l’Europa rivendica invano quelle riforme che ora vuole tutte e subito. Tanto da legittimare il sospetto di una provocazione mirata a ottenere Grexit. Facendo ricadere su Atene la responsabilità politica.

«Non faremo un accordo a qualsiasi prezzo. In questi mesi è stata persa la moneta più importante, la fiducia» ha chiarito Angela Merkel entrando al vertice e smentendo contrasti con Wolfgang Schäuble, il suo ministro delle Finanze. «Faremo l’accordo se tutti lo vorranno davvero» ha risposto Tsipras.

Atmosfera di estrema tensione, i leader europei spaccati a metà, 50% a favore della cacciata di Atene, 50% contro. Da una parte il cancelliere, riconosciuto campione di ogni mediazione politica, questa volta meno incline a praticarla se non di fronte a un accordo-capestro con la Grecia blindato nell’esecuzione, difendibile al Bundestag.

Dall’altra il presidente francese François Hollande, difensore stentoreo e determinato della permanenza della Grecia nell’euro in nome della sua irreversibilità. Sul collo l’ombra di Marine Le Pen e del suo Fronte Nazionale che, nello strappo ellenico, troverebbe la breccia per inseguire la diserzione della Francia, la fine della moneta unica e dell’Europa.

In mezzo un Paese con l’acqua alla gola che, nella migliore delle ipotesi, è destinato a finire sotto una soffocante tutela europea e non può permettersi il lusso di ribellarsi al tallone dei partner né alle loro condizioni draconiane. Salvo optare per la logica del tanto peggio tanto meglio. Che però alla fine può anche prevalere quando l’alternativa si riduce a scegliere tra peste o colera, comunque tra una disperazione o l’altra.

Ancora non si sa se il diktat dell’Eurogruppo, fotocopia perfetta della proposta tedesca presentata da Schäuble ai colleghi, sarà sottoscritto dai capi di governo dell’euro e firmato anche da Tsipras. I negoziati continuano...

Comunque finirà, la partita scriverà una pessima pagina della storia europea. La peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale. La Grecia ha le sue colpe e nessuno le nega. Ma i suoi interlocutori non sono senza peccato, Germania in testa. La Grecia però resta un dettaglio della storia europea, invece se ne è fatto un monumento inutile e dannoso alla causa collettiva. Dimenticando che oggi le priorità sono altre: crescita economica, sicurezza, consenso dei cittadini, un posto da protagonista nella competizione globale in difesa di una vecchia civiltà altrimenti condannata al declino.

Se alla fine sarà messa alla porta dalla furia punitiva del Nord con un accordo inaccettabile e se la Francia perderà la battaglia, la Grecia finirà malissimo ma per l’Europa e la Germania alla lunga andrà peggio. Nel mondo globale non si vince da soli né in pochi, nemmeno i più Grandi possono illudersi di riuscirci.

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