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Un Qe per Pechino

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obblighi cinesi e risposta internazionale

Un Qe per Pechino

Non si perda un attimo per rendere operativa la via cinese al Quantitative easing. Se si vuole evitare che una correzione pesante, l’azzeramento dei guadagni di Borsa da inizio anno, conduca l’economia cinese nel cortocircuito di “una particolarissima deflazione alla giapponese” e il mondo intero paghi il conto terribile dell’addio alla crescita globale, la Banca centrale cinese deve muoversi secondo le linee seguite da inglesi e americani, con le loro banche centrali, e dall’Europa più di recente con la sua Bce, grazie alla ostinazione e al pragmatismo di Mario Draghi. La Banca centrale cinese deve creare più moneta non cambiarne la sua composizione, è necessario non solo accrescere la liquidità ma crearne di nuova, aumentare il suo bilancio arrivando ad acquistare titoli cinesi, al limite anche azionari, e ridurre la caduta dei prezzi, quando poi si aprirà il capitolo di vendere attività sull’estero, per fare massa di capitali, bisogna che la cooperazione internazionale si appalesi e dimostri di essere il tronco solido dell’albero che ci può mettere in salvo dal nuovo ’29 in un mondo dove tutte le economie sono interdipendenti ma ovviamente non tutte hanno lo stesso peso.

Bisogna che la più grande economia socialista in transizione, con il suo carico di anomalie, prenda atto della gravità dei problemi: la mancata crescita della domanda interna è di gran lunga superiore a quella prevista e, dietro questa crescita troppo modesta, ci sono eccesso di risparmio da sfiducia nel futuro (avrò ancora un lavoro? Potrò pagarmi la sanità?), che, a sua volta, genera un difetto (grave) di consumi; difficoltà a pagare i debiti contratti dagli enti locali che rivelano un eccesso di spesa infrastrutturale e deteriorano la qualità complessiva dei crediti; la bolla immobiliare e il peso nelle partite correnti di catene di produzione di semilavorati assemblati e venduti all’estero, a basso valore aggiunto, che ne rendono deboli le esportazioni incidendo sulla loro qualità. Questa è la realtà di un’economia che, per ammissione dei maggiorenti stessi del partito unico di governo, per tenersi insieme ha bisogno di un tasso ragionevole di crescita almeno del sette per cento e, di certo, viaggia al di sotto di questo tasso.

Per sostenere seriamente i titoli cinesi e l’accesso al credito delle sue imprese e, soprattutto, per evitare che il virus della sfiducia che riguarda una comunità di oltre un miliardo e trecento milioni di persone contagi pericolosamente le altre economie dei Paesi emergenti e non, incidendo così in modo letale su una crescita globale acciaccata, bisogna che la leadership politica cinese risolva la sua crisi d’identità e si tolga dalla testa di spingere artificialmente la domanda interna. Si impegni piuttosto a fare riforme di qualità in modo da dare fiducia e sicurezza ai suoi risparmiatori, è questa la molla vera per spingere i consumi. Dimostri, con scelte e fatti, che è pronta ad abbassare ancora i tassi ed è in grado di dotarsi di uno strumento di acquisto di titoli da parte della sua Banca centrale all’altezza della situazione, utilizzi una parte delle riserve per sistemare i bilanci delle sue banche, e, cosa ancora più importante, si misuri con il suo carico di tendenze programmatorie. Completi il programma di liberalizzazioni e ritrovi la storica capacità di crescita continua facendo i conti almeno con una parte dei problemi irrisolti di democrazia e con quelli, altrettanto vitali, in materia di trasparenza perché non si devono avere dubbi sull’entità del suo debito pubblico e perché i giovani cinesi devono sentire di fidarsi del loro Paese.

Se vogliamo che la correzione pesantissima di questi giorni si fermi alla panna montata della speculazione e non cominci a intaccare la sostanza della crescita globale, la Cina deve fare la sua parte e deve iniziare a farla subito, ma è chiaro a tutti che solo un forte segnale di cooperazione internazionale potrà impedire che l’instabilità diventi contagiosa e, per esprimerlo, bisogna che Stati Uniti e Europa usino le leve della politica e dei tassi con la visione e il pragmatismo necessari. Non devono consentire che bolla e speculazioni della tempesta perfetta tornino a tracimare sull’economia reale, la debole crescita mondiale non ne sopravviverebbe. Ci potremmo consolare dicendo che sono i tedeschi più che gli italiani a soffrire per il rallentamento dell’economia cinese, ma a parte il fatto che i sub-fornitori dei tedeschi che esportano in Cina siamo noi, è evidente che un ulteriore indebolimento del ciclo mondiale spazzerebbe in un solo colpo la già fragile ripresa italiana. Un motivo in più per non limitarsi a cambiamenti di facciata, in casa come in Europa.

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