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Francesco e Kirill, disgelo (politico) più forte della storia

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INCONTRO ECUMENICO A CUBA IL 12 FEBBRAIO

Francesco e Kirill, disgelo (politico) più forte della storia

L'annuncio reca con sé il peso della storia. È un annuncio congiunto. A rischio fino all'ultimo, nonostante da due mesi fosse dato riservatamente per certo. Alla fine è arrivato. «La Santa Sede e il Patriarcato di Mosca hanno la gioia di annunciare che, per grazia di Dio, sua santità papa Francesco e sua santità il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia, si incontreranno il 12 febbraio. Il loro incontro avrà luogo a Cuba, dove il papa farà scalo prima del suo viaggio in Messico, e dove il patriarca sarà in visita ufficiale».«Esso comprenderà un colloquio personale presso l'aeroporto internazionale José Martí dell'Avana e si concluderà con la firma di una dichiarazione comune». Il luogo non è dirimente. L'incontro sì.

Alla luce dello sviluppo del movimento ecumenico e del Concilio Vaticano II che lo ha recepito e rilanciato per parte cattolica, almeno tre pontefici in età recente hanno costantemente lavorato affinché si arrivasse a questo incontro: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Non si trattava solo di chiudere il peso del passato (o dei molti passati) di questa vicenda, sviluppatisi lungo tutto il secondo millennio del cristianesimo. Ma anche di quelli recenti o recentissimi.

L'incontro di Paolo VI con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora, nel 1967, nel quale entrambi ritirarono le reciproche scomuniche comminate nel 1054, da un lato avvicinavano certamente il dialogo teologico tra Roma e una parte simbolicamente ampia della Chiesa ortodossa. Ma lasciavano la Chiesa ortodossa russa, la più grande tra le Chiese ortodosse, in una accentuata solitudine nel pieno della Guerra fredda. Una solitudine marcata non solo nel rapporto tra Oriente e Occidente, ma anche dentro l'ortodossia stessa, dove l'ecclesiologia della sovranità sinodale delle singole chiese (autocefalia) è stato spesso utilizzato da Mosca come elemento di ridefinizione dei rapporti di forza.

I rappresentanti delle due Chiese hanno continuato a vedersi, con alterne crisi di rapporti, in occasioni ufficiali e ai tavoli ecumenici. Ma era difficile immaginare che nel disfacimento dell'impero sovietico degli anni 90, il papa polacco potesse incontrare ufficialmente il patriarca di Mosca (allora Alessio II). Sempre il peso della storia. Bisognava attendere una rinascita dello stato russo. Passaggi sul piano teologico ve ne erano stati e di significativi in quella progressiva distinzione tra la sostanza dei dogmi e le loro vesti espressive culturali. L'ortodossia ha aggredito spesso (e talora giustamente) la dottrina cattolica del papato perché rivestita di troppi elementi politici e culturali. Ma non diversa forma hanno avuto le espressioni pentarchiche dei patriarcati evocate dagli ortodossi.

Giovanni Paolo II fece tuttavia nel 1995 un passo decisivo con l'enciclica Ut unum sint, riconoscendo come l'esercizio del primato petrino, legato al ministero del vescovo di Roma, com'era concepito dalla Chiesa cattolica costituisse «una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani , la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi», per i quali il papa chiese perdono (cfr. n. 88). E invocava, qualche pagina dopo, l'aiuto per instaurare «una riflessione comune, un dialogo fraterno, paziente nel quale potremo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo in mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa» (n. 96).

Si trattava di un invito inquadrato in una ecclesiologia di comunione che interpretava il pieno sussistere della Chiesa una e santa nella Chiesa Cattolica non in forma escludente, quasi che attorno alla Chiesa cattolica vi sia il vuoto ed enfatizzava, nonostante il freno imposto dalla Congregazione per la dottrina della fede (allora guidata dal card. Ratzinger), le forme in essere della comunione tra le Chiese in particolare con quella ortodossa. Più difensivo il pontificato di Benedetto XVI, ma non estraneo alla ricerca di qualche passo in avanti, direi esclusivamente con gli ortodossi. Oggi papa Francesco ha formulato la sua visione ecumenica nella forma «dell'unità attraverso la diversità». Un ulteriore passo.

Ancora il peso della storia. Questa volta ad aprire. Però. Quel che è successo in Medio Oriente, ma soprattutto quel che è successo tra Mosca e Kiev, hanno spinto il patriarca di Mosca Kirill a un passo decisivo. Possiamo immaginare persino contrastato nel Santo Sinodo. Ma La Chiesa ortodossa russa non può permettersi di perdere il legame sorgivo (la Russia nasce a Kiev) con l'ortodossia ucraina soprattutto con quella direttamente legata a Mosca. Così come papa Francesco deve parare il contraccolpo che questo annuncio e quell'incontro sortiscono nella Chiesa greco cattolica ucraina e nella parte politica che regge il paese ed è ostile per non dire in guerra con Mosca. Ma la decisione di Kirill, per i costitutivi legami tra chiesa e stato, non può essere stata assunta senza il consenso di Putin. Le aperture di papa Francesco verso Putin hanno dato il loro frutto. C'è dunque un disegno di disgelo ecumenico, di protagonismo politico, di ricerca di una nuova centralità di Mosca, religiosa e politica. Roma deve percorrere con fiducia questa nuova strada.

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