Anche l’Italia, così come Stati Uniti, Regno Unito e Francia, da alcune settimane può contare in Libia su circa 40 agenti operativi dell’Aise (servizio segreto esterno) suddivisi in tre team concentrati nella zona di Tripoli e nelle immediate vicinanze dei terminal petroliferi Eni di Mellita e dei pozzi situati nel Fezzan.
Nelle prossime ore partiranno alla volta della Libia altri 50 appartenenti al 9°reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin portando quindi il numero degli “effettivi” italiani su territorio libico a circa 90 unità, ossia in linea con i dispositivi già adottati dai nostri alleati ma senza che il Parlamento italiano sia stato informato e coinvolto nella decisione.
È infatti, questo, il risultato di un decreto emanato (e subito dopo immediatamente secretato) con cui il premier Matteo Renzi ha avocato al Dipartimento per la sicurezza Dis (coordina i due servizi di intelligence) diretto dall’ambasciatore Giampiero Massolo e, in ultima analisi, a Palazzo Chigi, la responsabilità finale della “catena di comando” per operazioni di “gravi crisi all’estero” a comninciare dalla Libia. Il Dpcm Renzi, emanato il 10 febbraio scorso, si compone di cinque articoli che definiscono nel dettaglio le aree di competenza degli agenti Aise con i quali potranno d’ora in avanti collaborare militari dei corpi speciali sottratti, quindi, alla catena di comando dei loro superiori e, in ultima istanza, anche dello stesso ministro della Difesa.
L’articolo 2 del Dpcm «disciplina il rapporto di collaborazione tra Aise e forze speciali della Difesa» e prevede che «il Presidente del Consiglio, in presenza di situazioni di gravi crisi all’estero che richiedano provvedimenti eccezionali, avvalendosi del Dis, possa autorizzare l’Aise ad adottare misure di contrasto e di intelligence anche con la collaborazione tecnica e operativa della forze speciali della Difesa». Per quanto riguarda le cosiddette “garanzie funzionali” di cui godono gli agenti Aise nell’esercizio delle loro operazioni l’estensione di tali garanzie ai militari dei corpi speciali era già stata inserita nel decreto missioni della fine del 2015 dopo gli attentati di Parigi.
Un decreto creato ad hoc, quindi, per far fronte all’attuale situazione di crisi in Libia in attesa che venga formato un Governo di unità nazionale, premessa essenziale per l’invio della missione di stabilizzazione in quel Paese. Mentre gli aerei Usa stanno già mettendo a segno numerosi “strike” contro centri di addestramento dell’Isis in Libia e sono presenti con propri uomini così come gli inglesi e i francesi, l’Italia che tra l’altro è candidata a guidare la missione internazionale, non poteva essere tagliata fuori completamente in questa fase dalle operazioni sul terreno. Dopo il Dpcm del 10 febbraio tre team dell’Aise di circa 13 agenti ognuno sono stati inviati nella zona di Tripoli e vicino ai siti dei pozzi Eni mentre nelle prossime ore sarà la volta di altri 50 uomini del Col Moschin. Solo così, secondo Renzi, si poteva rispondere in tempi molto rapidi alle minacce terroristiche dell’Isis sempre più alle porte di casa nostra, con uno strumento agile, flessibile ed efficace, sottratto alle burocrazie militari e alla tempistica dei dibattiti parlamentari. Non è ancora chiaro, però, fino a che punto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sia stato tenuto al corrente sugli effetti concreti del Dpcm e se nell’ultima riunione del Consiglio supremo di Difesa il tema sia stato affrontato e discusso. Di sicuro c’è che il Consiglio nelle precedenti riunioni ha esaminato i diversi piani operativi messi a punto dallo Stato maggiore della Difesa che prevedevano un contributo alla nuova missione di stabilizzazione in Libia per un totale di 3000 militari italiani (comprese le unità di eccellenza del Reggimento San Marco e dei carabinieri paracadutisti del Tuscania).
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