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La strada in salita di un'intesa Ue-Turchia

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VERTICE SUI RIFUGIATI

La strada in salita di un'intesa Ue-Turchia

Angela Merkel continua a puntare alla «soluzione paneuropea» per ridurre i flussi dei migranti per tutti, senza affidarsi alla chiusura delle frontiere, un palliativo temporaneo, ha detto ieri davanti al Bundestag, che dà sollievo temporaneo solo ad alcuni Paesi al prezzo di condannare la Grecia al disastro umanitario.

Questa volta il nuovo vertice Ue, che si terrà oggi e domani a Bruxelles, discuterà però anche di un'altra emergenza non meno drammatica: la grave crisi della siderurgia europea e il rafforzamento degli strumenti di difesa commerciale per proteggerla dal dumping, soprattutto cinese, richiesto a gran voce da industria e sindacati Ue.

Su questo secondo fronte dalla riunione dei 28 capi di Governo dell'Unione si attendono segnali positivi. Sul primo, invece, i pronostici restano incerti, nonostante anche in questo caso si siano mobilitate l'industria tedesca e francese per chiedere che si evitino a tutti i costi il crollo dell'ordine di Schengen e i suoi enormi danni economici.

Più facile da dire che da fare, come si constata da mesi. A prima vista il teorema Merkel offre la quadratura del cerchio giocando in modo spregiudicato la carta della collaborazione con la Turchia, da mesi la grande autostrada dei rifugiati diretti in Europa. Come sbarrarla, scoraggiando al contempo il traffico miliardario di esseri umani?
Con una sistematica politica di respingimenti dalla Grecia in Turchia di tutti gli immigrati illegali, siriani compresi, previa valutazione individuale delle rispettive domande di asilo ed eventuali ricorsi, per rispettare le norme Ue e internazionali. Poi con la riammissione legale nell'Unione dei soli siriani: nella misura di uno per ogni espulsione. Per stare al gioco dell'outsourcing europeo, Ankara ha alzato il suo prezzo alle stelle al vertice del 7 marzo scorso: raddoppio degli aiuti Ue da 3 a 6 miliardi, liberalizzazione dei visti anticipata a giugno, accelerazione dei negoziati di adesione.

Nel frattempo però l'offensiva turca ha incrociato la controffensiva europea. Prima di tutto perché le elezioni tedesche sono ormai alle spalle e anche per Merkel sono calate le tensioni della vigilia.

E poi perché l'Europa, le sue opinioni pubbliche e l'europarlamento sembrano rifiutare il prezzo della capitolazione su regole e principi. Il risultato paradossale della retromarcia europea potrebbe essere un accordo a 28 al vertice, che ricompatti l'Ue su un'offerta riveduta e corretta ad Ankara, seguito dall'immediato rifiuto turco ad accettarlo.
Lo scenario non è peregrino se si considera che sul raddoppio dei fondi a 6 miliardi l'Ue si impegna a parlarne non prima del 2018 alla luce del loro effettivo impiego, sui visti è disponibile solo se da qui a giugno Ankara rispetterà tutti i 72 criteri previsti (per ora è a 19), e sull'adesione le condizioni restano inalterate, come dire che è cruciale anche l'accordo tra Turchia e Cipro sui negoziati di pace sul futuro dell'isola.
Dulcis in fundo, l'attuazione dell'intesa sarebbe legata alla sua comprovata capacità turca di bloccare i flussi a 72mila siriani all'anno, il numero che l'Ue sarebbe disposta ad accogliere legalmente e redistribuire al proprio interno secondo un sistema di quote decise l'estate scorsa e finora quasi del tutto inapplicato.

Tenendo conto che dall'inizio dell'anno sono approdati in Europa più del doppio di migranti, 152.700 per la precisione, il tetto appare non solo del tutto irrealistico ma anche non abbastanza invitante da disincentivare i disperati dal cercare tutte le possibili rotte alternative per violare l'embargo.

Sempre che la questione cipriota non offra a tutti l'alibi perfetto per un nuovo rinvio, c'è chi sostiene che comunque Merkel riuscirà a mettere d'accordo il diavolo e l'acqua santa, l'Europa con il Sultano perché c'è in fondo un interesse comune a stabilizzare il problema rifugiati. Difficile però immaginare che la Turchia di Erdogan, che ha già venduto in casa la sua vittoria europea sulla liberalizzazione ravvicinata dei visti, incassi lo smacco senza reagire. Una concessione del genere d'altra parte spaccherebbe l'Ue né farebbe molta strada all'europarlamento chiamato a votarla.

A meno che, per uscire dall'angolo senza che nessuno perda la faccia, non si decida di sottoscrivere una dichiarazione comune su un meccanismo di cooperazione che si sa già che non funzionerà o sarà attuato poco e male. In attesa che magari prima o poi la pax siriana provveda a risolvere la crisi. Sarebbe una scommessa miope, ma non la prima, se è vero che dall'Africa si preparano prima o poi a sbarcare in Europa 60 milioni di migranti economici.

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