In qualsiasi Paese al mondo, un banchiere centrale che in soli tre anni sia riuscito a ridurre l’inflazione dall’11% al 5%, al tempo stesso permettendo un aumento della crescita dal 5% all’8%, avrebbe garantita la riconferma. Non in India. Il governatore della Banca centrale indiana Raghuram Rajan, ammirato da tutti i media internazionali, è sotto pesante attacco nel suo Paese.
Io sarò anche prevenuto positivamente (Rajan è stato a lungo mio collega e co-autore), ma gli attacchi contro di lui sono assurdi. Viene accusato di non essere «mentalmente un indiano a pieno titolo» nonostante sia nato e cresciuto in India e a tutt’oggi abbia solo il passaporto indiano. Il motivo? Avendo lavorato per molti anni negli Stati Uniti, possiede il permesso di lavoro in America. Rajan viene anche accusato di appartenere al gruppo dei 30, che si occuperebbe «di difendere la posizione dominante degli Stati Uniti nell’economia globale» e di fare gli interessi della finanza internazionale. Proprio lui che nel 2005 aveva denunciato, di fronte ad un inviperito Alan Greenspan, allora chairman uscente della Federal Reserve, i potenziali effetti destabilizzanti dei derivati finanziari.
A peggiorare la situazione, ad accusarlo è Subramanian Swamy, dottorato in economia ad Harvard, ex ministro del Commercio, uno degli architetti del piano di liberalizzazioni realizzato in India ad inizio anni 90. Swamy lo accusa di aver tenuto troppo alti i tassi di interesse e, così facendo, aver «strangolato la piccole e medie imprese» e distrutto l’agricoltura.
Perché cotanta rabbia? Col suo operato Rajan sta combattendo non solo contro l’inflazione, ma anche contro l’inefficienza del sistema bancario, oberato dai crediti in sofferenza. Il sistema bancario indiano è principalmente in mano pubblica ed è stato usato per finanziare quel capitalismo di relazione che per troppi anni ha imbrigliato il Paese. Finora le banche indiane erano vissute nell’illusione che tutti i debitori avrebbero prima o poi pagato, anche quando i debitori spesso prendevano a prestito da una banca per pagarne un’altra.
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