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Quella incertezza che paga l’Italia

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L'Editoriale|l’editoriale

Quella incertezza che paga l’Italia

Non che le agenzie di rating siano la Bibbia, tutt’altro. Però contribuiscono a spiegarci come e perché i mercati si gonfiano e si sgonfiano o restano appesi all’incertezza. Ad esempio, ieri Standard and Poor’s notava che le conseguenze di Brexit avranno un impatto negativo dell’1,2% sulla crescita britannica nel 2017 e che anche l’Eurozona (-0,8% l’anno prossimo) pagherà «indubbiamente un costo in termini di crescita a causa di un livello più basso degli scambi commerciali e degli investimenti».

A sua volta, l’agenzia Fitch osservava che «la volatilità del mercato seguita al referendum sulla Brexit ha colpito il settore bancario italiano in modo particolarmente duro perché è uno dei punti più deboli d’Europa» e che la legislazione bancaria europea sull’utilizzo di denari pubblici “renderà difficili” le soluzioni per rafforzare il patrimonio delle banche con risorse pubbliche. Nelle stesse ore, il premier Matteo Renzi riconfermava le sue scelte per «soluzioni di mercato nel rispetto delle regole vigenti in Europa» e da Bruxelles veniva poi confermato che ci sono «soluzioni mirate possibili».

Valutazioni come quelle delle agenzie di rating possono essere condivise o meno, piacere o non piacere, ma attengono allo stato dei fatti percepiti, e poi trasmessi, dai mercati. Questi reagiscono ad un evento di prima grandezza politica ed economica, non a un incidente di percorso. Tanto è vero che per iniziare a dissolversi (in attesa di una ratifica del Parlamento britannico che potrebbe risolversi nel suo opposto, cioè nella mancata uscita del Regno Unito dall’Europa) è stata l’attuale classe politica e dirigente inglese, contro e pro Brexit.

E che si finisca per ricominciare daccapo non è affatto da escludere.

Più che le certezze abbondano insomma le incertezze, e le prove muscolari ad alta intensità propagandistica sono sconsigliabili, se non altro perché possono condurre a risultati molti diversi da quelli preventivati. Il vecchio Henry Kissinger, che di equilibri politici internazionali capisce come pochissimi al mondo, ha scritto che farebbe male l’Europa a trattare il Regno Unito, protagonista essenziale del Patto Atlantico, come un “evaso di prigione” e che punire Londra non risolverà il problema di come far funzionare una moneta comune o di come raggiungere strategie politiche comuni. Mentre a giudizio del ministro tedesco Wolfgang Schauble, per l’Europa questa è «l’ora più seria».

L’ora è serissima, naturalmente, anche per l’Italia. La ripresa è ancora debole nel Paese che fatica sempre più degli altri a ripartire e che è appesantito da un debito pubblico che condiziona ogni sua scelta. Ed è un fatto che le banche italiane (ieri trascinate al ribasso dalla vicenda Monte Paschi, un caso nel caso) hanno perso da inizio 2016 più delle altre. Con i titoli del Tesoro protetti dal mantello della Bce, la “speculazione” ha gioco facile nel guardare alla massa dei crediti deteriorati degli istituti credito che zavorrano le loro scelte, per di più in tempi di tassi-zero che minano la redditività. Chi teme un rischio-Italia e intende abbassarlo attacca dunque da questo lato, quello delle banche, e poco gli importa di alzare lo sguardo verso la montagna di derivati in pancia delle banche tedesche.

Brexit, al momento e comunque prima di poterne cogliere l’opportunità per una svolta in positivo, significa incertezza e una prospettiva di crescita minore. Per l’Italia un problema in più ed il pericolo di dover pagare un conto ancora più salato. Quando l’incertezza corre sui mercati questi tendono, come abbiamo visto, a scaricare le tensioni (e le asimmetrie di un progetto europeo incompiuto) sui terreni più friabili.

Questi, a loro volta, sono tanto più friabili quanto più la storia del Paese, politica, economica e finanziaria, è stata punteggiata da errori, impreparazione, sottovalutazioni e collusioni. In questo senso, c’è poco da fare la voce grossa con i “frenatori” di Bruxelles: se la spesa ed il debito pubblico hanno raggiunto le vette attuali, se le riforme sono sempre una corsa a ostacoli grandi e piccoli, se le banche sono alle prese con problemi seri, se insomma i mercati percepiscono che il cambiamento rallenta e che l’economia non svolta occorre prenderne atto e reagire con nervi saldi, perché soluzioni facili non sono a portata di mano. «Dopo Brexit – ha detto nei giorni scorsi al Sole 24 Ore Fergus McCormick dell’agenzia di rating Dbrs- saremo più vigili sui Paesi europei ad alto debito che necessitano di portare avanti riforme strutturali, come Italia, Spagna e Portogallo». Tutto è diventato più difficile: la realtà dice questo, nella stagione dell’incertezza.

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