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analisi

Libia, perché la liberazione di Sirte non è ancora la fine dell’Isis

Fayez al-Sarraj (Epa)
Fayez al-Sarraj (Epa)

Potrebbe essere questione di ore prima che il premier libico Fayez al-Serraj annunci ufficialmente la liberazione di Sirte, roccaforte dello Stato Islamico in Libia. Dopo due mesi di assedio le milizie filogovernative della Tripolitania colgono un primo importante successo, da ascrivere soprattutto a quelle di Misurata che emergono dalla vittoria come indispensabile stampella del governo di Tripoli.

La battaglia, anche nelle sue ultime fasi, ha messo in luce la superiorità tattica dei jihadisti (per lo più stranieri veterani del conflitto in Iraq e Siria) che in poche centinaia hanno tenuto sotto scacco per settimane migliaia di miliziani libici. Per questo i pur limitati raid aerei statunitensi (appena 41 in undici giorni) si sono rivelati fondamentali per aprire brecce nelle linee difensive dell’Is in cui le milizie hanno potuto avanzare con l’appoggio delle forze speciali britanniche.

La vittoria a Sirte lascia aperti molti interrogativi poiché lo Stato Islamico resta una minaccia rilevante: il Pentagono gli attribuiva nel maggio scorso 6/8 mila combattenti (stima ritenuta esagerata dall’intelligence francese) di cui un migliaio caduti in battaglia o catturati, quindi potrebbero essere circa 5mila i miliziani fedeli al Califfato che si sono dispersi nelle aree desertiche a sud di Sirte o infiltrati nelle città controllate dal governo di Tripoli per compiere azioni di guerriglia e terrorismo. Per sconfiggere questa minaccia due aspetti avranno un peso fondamentale: la fiducia che il governo di al-Serraj saprà riscuotere presso la popolazione di Tripolitania e Fezzan e la capacità di mantenere una costante pressione militare sulle milizie islamiste.

Circa il primo punto non è facile essere ottimisti specie dopo che Martin Kobler, rappresentante speciale dell’Onu in Libia, ha ammesso che la «popolarità del governo di accordo nazionale in Libia si sta sgretolando» a causa dei frequenti blackout elettrici e della svalutazione del dinaro. Al-Serraj non ha potuto rispondere alle richieste di aiuti economici formulate da molte città e non è detto che l’intervento militare statunitense a Sirte lo rafforzi, specie dopo che aveva sempre escluso interventi militari stranieri.

I raid americani, definiti una violazione della sovranità territoriale libica dal generale Khalifa Haftar e un “intervento imperialista” dal Consiglio supremo delle tribù e delle città della Libia hanno sollevato malumori anche a Tripoli tra le milizie e i partiti islamisti (Salafiti e Fratelli Musulmani) che avevano deciso di sostenere al-Serraj solo in seguito alle pressioni dei loro “sponsor”, Turchia e Qatar. Sul piano militare mantenere la pressione sulle forze dello Stato Islamico richiederà una forte coesione tra le diverse milizie poiché è difficile che Misurata sia disposta a sostenere da sola, o quasi, anche questo onere. Per dare la caccia nel deserto alle forze dell’Is Tripoli chiederà probabilmente un maggior supporto occidentale in termini di aerei, elicotteri, droni e inevitabilmente consiglieri militari per poter raccogliere informazioni d’intelligence, localizzare i bersagli e addestrare le forze governative.

Per evitare che i jihadisti si riorganizzino e occupino altre città il contributo delle forze statunitensi, britanniche e forse italiane in supporto alle milizie di Tripoli potrebbe quindi ampliarsi pur restando nell’ambito di una “guerra leggera”. Lo scenario più probabile è quindi quello di un intervento che assomigli sempre di più, anche se su scala ridotta, all’impegno militare della Coalizione che combatte l’Is in Iraq e Siria. In questo contesto l’Italia potrebbe essere costretta a dare un contributo maggiore, quanto meno per non vedersi ulteriormente scavalcata dagli anglo-americani sul piano dell’influenza nella nostra ex colonia.

“Lo scenario più probabile è quello di un intervento che assomigli, anche se su scala ridotta, all’impegno militare della Coalizione che combatte l’Is in Iraq e Siria”

 

Anche mantenendo le prerogative imposte finora dal governo di evitare il coinvolgimento diretto di truppe e mezzi italiani in combattimento, Roma potrebbe comunque offrire importanti contributi aggiuntivi. L’aeronautica potrebbe mettere in campo assetti aerei simili a quelli inviati in Kuwait e che volano disarmati sull’Iraq: droni da sorveglianza Reaper, aerei da trasporto C-130J e C-27J, velivoli da rifornimento in volo e cacciabombardieri Amx impiegabili anche solo per la ricognizione. In campo terrestre potrebbe venire rinnovata l’Operazione Cyrene che negli anni scorsi a Tripoli vide istruttori militari di esercito e carabinieri addestrare le forze libiche e potrebbero venire inviati a Tripoli altri equipaggiamenti e l’ospedale da campo da tempo chiesto da al-Serraj per poter curare adeguatamente i tanti feriti di guerra.

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