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G20, Pechino cerca lo «scambio»

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il summit di hangzhou

G20, Pechino cerca lo «scambio»

Olympic Sports Center in Hangzhou (LaPresse)
Olympic Sports Center in Hangzhou (LaPresse)

Nella Guesthouse di Hangzhou, che rivaleggia per sfarzo con quella della Capitale, é iniziata la sfilata dei Capi di Stato e di Governo davanti al Capo supremo del partito e dello Stato cinese nonché anfitrione del Summit B20/G20, Xi Jinping.

Filtrano già voci di un possibile “accordo” in cui la contropartita cinese a fronte di acque più calme nei Mari del Sud della Cina, con gli Stati Uniti più defilati anche grazie alla transizione inevitabile per l’uscita di scena di Barack Obama, potrebbe essere l’impegno di Pechino sul fronte delle regole del commercio, con una maggiore apertura agli investimenti stranieri – una pecca sulla quale il nuovo Position Paper della Camera di commercio europea in Cina non ha riservato critiche.

Ma anche un drastico impegno sull’overcapacity, a partire dall’acciaio, tema che gli Stati Uniti sono riusciti a infilare nell’agenda del G20 cinese in occasione della tappa preliminare dei ministri del Commercio a Shanghai. Dicono i testimoni delle trattative che non è stato semplice catturare quella parola e inserirla nei dossier da presentare al Summit che oggi apre i battenti. Da quel momento in poi sarebbe stato impossibile non occuparsene più.

La leadership cinese – questo è certo - ha bisogno di più tranquillità, chiede che tutti i tasselli vadano a posto, per mare e per terra – come non guardare con ansia al dopo Islam Karimov, padre padrone dell’Uzbekistan stroncato da un malore, snodo islamico sulla nuova via della seta, laddove passano Silk Road Fund, New Development Bank, Asian Infrastructure Investment Bank, insomma i tools voluti dalla Cina per creare un ponte euroasiatico? Elementi di destabilizzazione sono in agguato, dietro l’angolo, meglio prendere fiato per poter affrontare meglio anche i problemi interni.

Apre il B20 e anche i temi del G20 entrano nel vivo, grazie al battage dei vice, da Yi Gang di PboC, a Zhu Guangyao, vice ministro delle Finanze, perché in Cina sono loro, i numeri due, a dover affrontare l’arena, almeno in prima battuta.

A distanza ci sono e si mantengono i presidenti di Cina e Usa, pronti ad affilare le armi del dialogo, con Obama in scadenza e Xi Jinping impegnato sin d’ora ad affrontare il cambio di pelle generazionale del Congresso del partito, il 19esimo, in calendario a fine 2017.

Un calo della tensione farebbe un gran bene a tutti, l’East Asia Summit e l’U.S.-ASEAN leadership summit di Vientiane, nel Laos, darà un contributo. Per non parlare del codice di condotta che Cina e Paesi Asean hanno appena sottoscritto sui Mari del Sud, in vista del Cae-Expo del prossimo 11 settembre, dove i conti si faranno sui rapporti e i pesi economici.

Brucia la decisione negativa sull’arbitrato attivato dalle Filippine, ma spira aria di riavvicinamento con il nuovo presidente Duterte, meglio allora mettere la sordina ai dissapori nella penisola coreana e superare gli attriti sulla Terminal High Altitude Area Defense (THAAD) con la Corea del Sud. Tokyo e Pechino stanno lavorando alacremente da giorni a un nuovo incontro dopo quello, storico, dell’Apec nel 2014 tra Shinzo Abe e Xi Jinping. E anche l’ombra della ribelle Tsai della ancor più ribelle provincia di Taiwan è bene che resti confinata oltre lo Stretto.

Quando il premier Li Keqiang ha detto in sintesi «non contate su di noi come unico traino della ripresa», si è capito che la Cina allungava la mano al mondo. Schiacciata da una montagna di acciaio, la metà di quello prodotto nel globo, la Cina sta alimentando le tensioni commerciali in tutto il mondo voci si sono levate negli Usa per chiedere con fermezza al presidente Obama di imporsi proprio ad Hangzhou, in occasione del G20. Per questo i Mari del Sud saranno in agenda. Xi Jinping ha ordinato tagli annuali fino a 150 milioni di tonnellate, pari a circa il 13% della capacità produttiva in eccesso, ma queste politiche nel complesso restano inefficaci mentre i margini dei produttori cinesi sono sprofondati nel baratro. Politiche di stimolo, anche se ripetute e non di dimensioni colossali come quella, famosa, del 2008, anno della crisi planetaria, hanno lasciato altre ferite, mentre il debito del Paese sul Pil corre a livelli un tempo impensabili. In questo contesto mostrare i muscoli non è difficile, è pericoloso. Ma per quanto l’idea di riavvicinare le posizioni sia forte, bisogna salvare le apparenze e quindi forse è per questo che gli orari delle conferenze stampa dei due leader in calendario lunedì si sfiorano fino quasi a concidere. Chi va a sentire dal vivo le ragioni di Obama non potrà, a ruota, seguire quelle di Xi.

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