L’economia ha perso il contatto con la realtà? Già gravata dall’accusa di non aver saputo prevedere la più grande e lunga crisi globale dai tempi della Grande Depressione, otto anni dopo si trova ancora sul banco degli imputati. Se allora non aveva visto l’ingresso nel tunnel, la colpa di oggi è quella di non essere in grado di illuminare la via d’uscita.
Un abisso sempre più profondo sembra separare il mondo della economics, custode delle leggi sul buon funzionamento dell’economia, da quello della economy, la dimensione concreta della vita quotidiana per giovani e famiglie, imprese e lavoratori, mercati e nazioni. La prima è a corto di munizioni intellettuali – teorie, visioni e soluzioni – per schiudere, nel cuore pulsante della seconda, una nuova prospettiva di prosperità. Che sia costruita sulle fondamenta di una crescita più inclusiva e sostenibile. E possa contare su mercati più sani e trasparenti.
La stessa tesi della “stagnazione secolare”, una delle espressioni più in voga nell’attuale dibattito economico, coniata nel 1938 dall’economista americano Alvin Hansen e rilanciata oggi da Larry Summers, prima ancora di suggerire una chiave di lettura illuminante appare come il suggello di un’impasse colossale.
L’impotenza è sovrana, si potrà mai uscirne? A sinistra c’è chi invoca – e Summers tra questi – una nuova stagione di poderosi investimenti pubblici, una scossa per sbloccare la paralisi. E a destra, invece, chi ritiene – ad esempio Hans-Werner Sinn – che l’idea della stagnazione sia una «malattia auto-inflitta»: meglio lasciar libero sfogo ai corsi dell’economia e attendere fiduciosi che, dopo una salutare fase di distruzione creatrice, si apra una nuova stagione di rapido sviluppo.
L’onda lunga della grande crisi non accenna, intanto, a esaurirsi. Mentre la discussione arranca, la realtà si incarica di riproporre ogni giorno il catalogo delle “cose economiche” che non vanno e che stanno scompigliando ovunque anche il panorama della politica: la disuguaglianza dei redditi che si allarga, la classe media in declino, le nuove generazioni dalle speranze decrescenti, l’incertezza sul lavoro indotta dall’evoluzione tecnologica, la fragilità dei mercati intossicati dall’eccesso di finanza, il fiato corto della globalizzazione o la tentazione del protezionismo su larga scala.
Non è casuale che in questo contesto post-shock stia prendendo forza un dibattito – ne ha dato conto il Financial Times lo scorso weekend con un’approfondita inchiesta che riproponiamo online nella sezione Commenti-Global View – sulla necessità di modificare le stesse modalità con le quali l’economia viene tradizionalmente insegnata nelle università. Di nuovo, la parola d’ordine è il ritorno alla realtà, viti e bulloni, o, meglio, l’acquisizione di una visione più ricca e articolata della stessa realtà rispetto ai canoni rigidi della scienza economica classica. Alle correnti dominanti negli atenei, gli “econoscettici” o eterodossi contestano la tendenza a presentare equazioni e identità matematiche come leggi ferree piuttosto che tentativi imperfetti di influenzare le relazioni umane. E, a loro volta, ne vengono ricambiati con l’accusa sprezzante di essere «venditori di sanguisughe, clisteri con fumo di tabacco e omeopatia», posti sullo stesso piano di chi considera la selezione naturale solo come una teoria.
Uno dei luoghi privilegiati dove si incontrano e scontrano le due dimensioni dell’economia – la teoria, la politica e le leggi, da una parte, e i fatti e le situazioni concrete, dall’altra – sono le pagine di un giornale. Quando non è asimmetrica e distorta, l’informazione - come ha evidenziato Joseph Stiglitz negli studi che gli sono valsi il Premio Nobel - è linfa vitale per l’economia. E un giornale contribuisce a metterla in circolo, condividendola con la grande comunità di lettori che tutti i giorni fanno i conti con l’economia. Si sviluppa così un racconto quotidiano attraverso denaro e tasse, spese e risparmio, monete e prezzi, lavoro e reti digitali, distretti territoriali e business globali, mercati finanziari e banche centrali, tendenze macro e ricadute micro. Tutto ciò, insomma, che riguarda vecchi e nuovi modi per generare beni e servizi, consumare prodotti, distribuire e investire il reddito creato.
“Proprio perché l’economia reale prende in contropiede gli schemi interpretativi consolidati, l’impegno per cercare di capirla deve oggi raddoppiare”
Proprio perché l’economia reale prende in contropiede gli schemi interpretativi consolidati, l’impegno per cercare di capirla deve oggi raddoppiare. Per lungo tempo, il nostro giornale ha testimoniato questo sforzo di comprensione e divulgazione attraverso un fenomeno editoriale con 10 edizioni di successo in quasi trent’anni. Il titolo di questo long seller, “Come leggere Il Sole 24 Ore”, diventa ora quello di una iniziativa nuova, tanto nella formula quanto nei contenuti, a partire dal sottotitolo “Conoscere l’economia con il quotidiano” che ne puntualizza la missione: allineare una dopo l’altra, con semplicità e chiarezza, le nozioni essenziali dell’economia e coinvolgere il lettore nella comprensione dell’attualità quotidiana.
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