La galassia dei movimenti antisistema in Europa è un universo in continua crescita e trasformazione, che rende difficile fissarne i contorni. Alimentata da diversi fattori - dalla crisi economica a quella dei rifugiati, passando per il crollo delle ideologie – ha dato vita negli ultimi anni a formazioni politiche che hanno scosso il panorama politico interno dei Paesi Ue, determinando in alcuni casi un vero e proprio terremoto: si pensi al referendum su Brexit, figlio in buona parte dell’affermazione del partito indipendentista britannico Ukip, o all’ascesa inarrestabile del Front National di Marine Le Pen in Francia, che ha scardinato il tradizionale bipolarismo francese, oppure – per restare in Italia – alla conquista di un posto di primo piano nella geografia politica nazionale del Movimento Cinque Stelle.
L’ultima ricerca realizzata dalla Fondazione Hume per Il Sole 24 Ore si pone l’ambizioso obiettivo di tracciare la mappa completa del populismo nell’Unione europea, fotografando in maniera dettagliata e schematizzando il più possibile le caratteristiche di questi partiti e confrontandone poi le performance (percentuali di voto e seggi) registrate alle Elezioni europee del 2009 e a quelle del 2014. La scelta non è casuale: il voto per rinnovare l’Europarlamento è infatti, come si legge nel dossier, «il territorio in cui questi movimenti di protesta riescono nella grande maggioranza dei casi a ottenere i risultati migliori», dato che «votare per movimenti più estremisti viene considerato come assai meno pericoloso rispetto a quanto succede alle Politiche»; il sistema proporzionale concede inoltre anche ai piccoli partiti più chance di ottenere una rappresentanza.
Due sono le categorie monitorate. La più nota è quella dei movimenti euroscettici, quelli che più spesso conquistano gli onori della cronaca per le loro critiche all’euro e all’Unione europea tout court o ad alcune sue dinamiche specifiche: tra gli altri, ne fanno dunque parte a destra i già citati Ukip e Front National, i tedeschi di Alternative für Deutschland, il Partito per la libertà olandese di Wilders e quello austriaco, gli ungheresi di Fidesz, diversi movimenti nordici; a sinistra i greci di Syriza e gli spagnoli di Podemos. Meno studiata è la galassia dei partiti populisti, nella quale la ricerca della Fondazione Hume fa confluire – come del resto la stessa definizione un po’ sfuggente di populismo può suggerire - un’ampia gamma di movimenti che si richiamano «alla gente comune» o criticano le élite consolidate: vi rientrano dunque anche partiti europeisti, come il ceco Ano (Azione dei cittadini insoddisfatti), e persino il Fianna Fail, storica compagine di governo irlandese.
Nel primo caso la protesta si indirizza verso gli organismi sovranazionali, «colpevoli di aver indebolito le sovranità nazionali a discapito della popolazione»; nel secondo si rivolge contro le élite politiche o economiche interne. Molti di questi movimenti, peraltro, nella catalogazione della ricerca hanno una doppia connotazione, euroscettica e populista.
Dal dossier della Fondazione Hume emerge nel complesso un’avanzata di queste forze, seppure non generalizzata (come evidenzia la cartina a fianco), sintomo di un disagio crescente dei cittadini nei confronti dell’Europa e dei partiti tradizionali. Dal 2014 a oggi però l’Europa, oltre ad avvitarsi in una crisi economica da cui ancora non è riuscita a riemergere, ha vissuto eventi drammatici ed epocali: l’attacco al suo cuore da parte del terrorismo islamico, inaugurato dall’attentato al settimanale Charlie Hebdo nel gennaio 2015, l’emergenza rifugiati, con un flusso senza precedenti che ha fatto rotta verso i Paesi Ue. Fatti che hanno impresso un’ulteriore accelerazione a questo fenomeno, rafforzando alcuni partiti euroscettici o populisti e proiettandone altri al governo o in posizioni tali da influenzare le scelte del Paese o dell’Europa. Terremoti in parte già iniziati – si pensi alla vittoria elettorale di Syriza in Grecia nel 2015, dopo anni di austerity, o al referendum su Brexit del 23 giugno scorso, con cui la Gran Bretagna ha sancito la sua volontà di lasciare la Ue, o ancora alla
sospensione di una conquista europea come lo spazio Schengen – in parte ancora da monitorare, con i prossimi appuntamenti elettorali in alcuni Paesi chiave: il ballottaggio per le presidenziali in Austria, in programma il 4 dicembre, dopo l’annullamento della vittoria di misura del verde Alexander van der Bellen contro Norbert Hofer, candidato dei populisti di destra della Fpö; le elezioni politiche in Olanda a marzo, con il Pvv di Wilders (euroscettico e anti-islamico) tra i favoriti; le presidenziali in Francia ad aprile, con Marine Le Pen pressoché certa di arrivare al ballottaggio; le elezioni federali tedesche dell’autunno 2017, con la Cdu della cancelliera Merkel che deve fronteggiare l’avanzata della destra euroscettica e xenofoba di Alternative für Deutschland. Elezioni a parte, rimane da capire se la Ue - ormai fortemente condizionata dal peso di questi partiti - troverà una linea comune sull’immigrazione, oppure se la Brexit innescherà un effetto domino.
Se dunque il trend ascendente delle forze anti-sistema è già evidente, il loro impatto sull’Europa del futuro prossimo è ancora tutto da pesare.
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