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In difesa delle società aperte

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L'Analisi|scenari 2017

In difesa delle società aperte

Molto prima che Donald Trump venisse eletto presidente degli Stati Uniti, ho spedito un biglietto d’auguri ai miei amici con scritto: «I tempi non sono più gli stessi. Vi auguro ogni bene in questo mondo in difficoltà.» Adesso sento il bisogno di condividere questo messaggio con il resto del mondo, ma prima voglio dirvi chi sono e come la penso.

Sono un ebreo ungherese di 86 anni, che è diventato cittadino americano alla fine della Seconda guerra mondiale. Ho imparato presto sulla mia pelle quanto è importante il tipo di regime politico che sale al potere. L’esperienza formativa della mia vita fu l’occupazione dell’Ungheria da parte della Germania di Hitler, nel 1944. Se mio padre non avesse intuito la gravità della situazione, probabilmente sarei morto. Mio padre procurò dei documenti falsi alla sua famiglia e a molti altri ebrei. Molti sopravvissero grazie al suo aiuto.

Nel 1947 fuggii dall’Ungheria, allora sotto il regime comunista, per rifugiarmi in Inghilterra. Durante gli studi alla London School of Economics, rimasi affascinato dal filosofo Karl Popper e sviluppai una mia filosofia che si basava su due principi fondamentali, il principio della fallibilità e quello della riflessività. Facevo la distinzione fra due tipi di regimi politici: quelli in cui il popolo eleggeva i suoi rappresentanti, che dovevano fare gli interessi dell’elettorato, e quelli in cui i governanti cercavano di manipolare la gente per fare i propri interessi. Seguendo gli insegnamenti di Popper avevo definito il primo tipo “società aperta” e il secondo “società chiusa”.

La classificazione è fin troppo semplicistica: ci sono stati diversi gradi e diverse varianti nel corso della Storia, dai modelli che hanno funzionato bene agli Stati che hanno fallito, e tanti diversi livelli di governo per ogni particolare situazione. Ciò detto, trovo utile la distinzione fra i due regimi. Diventai un attivo difensore della prima e un netto oppositore della seconda.

Il momento storico che viviamo è molto difficile. Le società aperte sono in crisi e stanno emergendo diverse forme di società chiuse – dalle dittature fasciste agli Stati mafiosi. Come è potuto accadere? L’unica spiegazione che ho potuto trovare è che i leader eletti non sono riusciti a rispondere alle aspettative e alle aspirazioni legittime degli elettori e che tale fallimento ha portato l’elettorato a non credere più nelle forme prevalenti di democrazia e capitalismo. In altre parole, molti si sono sentiti depredati della democrazia da parte delle élite.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Usa sono emersi come l’unica superpotenza rimasta, votata ai principi della democrazia e del libero mercato. Da allora, il fenomeno più importante è stato la globalizzazione dei mercati finanziari, promossa da chi credeva che una globalizzazione potesse far crescere la ricchezza globale. In fondo, se i vincitori compensavano i perdenti, sarebbe rimasto sempre qualcosa. Argomentazione fuorviante perché ignorava il fatto che raramente i vincitori compensano i perdenti, per non dire quasi mai. Ma i potenziali vincitori investirono abbastanza denaro per promuovere quell’argomentazione che prevalse. Fu una vittoria per chi credeva nella libera impresa o per i “fondamentalisti del mercato”, come li chiamo io. Perché il capitale finanziario è un ingrediente indispensabile dello sviluppo economico e pochi Paesi nel mondo in via di sviluppo possono generare sufficiente capitale da soli, con la globalizzazione che si espande a macchia d’olio. I capitali finanziari potevano muoversi liberamente ed evitare tasse e regolamentazioni.

La globalizzazione ha avuto ricadute economiche e politiche molto più ampie. Ha portato una certa convergenza economica fra Paesi ricchi e Paesi poveri che è stata positiva, ma ha aumentato la disuguaglianza all’interno dei Paesi ricchi come di quelli poveri, che è stata negativa. Nel mondo sviluppato, i vantaggi sono andati perlopiù a chi possedeva grandi capitali finanziari, ovvero meno dell’1% della popolazione. La mancanza di politiche ridistributive è la più grande fonte di malcontento che gli oppositori della democrazia hanno cavalcato. Ma ci sono stati altri fattori che hanno contribuito, in particolare in Europa.

Sono stato un fervente sostenitore dell’Unione Europea sin dalla sua nascita. La consideravo come l’incarnazione dell’idea di una società aperta: un’unione di Stati democratici disposti a sacrificare parte della loro sovranità per il bene comune. Partì come un esperimento ardito di «graduale ingegneria sociale» come l’aveva definito Popper. I leader si erano posti un obiettivo raggiungibile e una determinata tempistica, e avevano mobilitato la volontà politica necessaria per raggiungerlo, sapendo molto bene che ogni passo avanti avrebbe richiesto un passo successivo. Fu così che la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) diventò l’Unione europea.

Ma poi le cose sono andate male. Dopo il crollo del 2008, un’associazione volontaria fra pari si è trasformata in un rapporto fra creditori e debitori, dove i debitori avevano difficoltà a far fronte ai loro obblighi e i creditori ponevano le condizioni alle quali i debitori dovevano sottostare. Quel rapporto non era né volontario né paritario.

La Germania è emersa come potenza egemonica in Europa, ma non è riuscita a tener fede agli obblighi che spettano alle egemonie di successo, in particolare guardare oltre i propri interessi e considerare gli interessi di chi dipende da loro. Pensiamo a come si erano comportati gli Usa con la Germania dopo la Seconda guerra mondiale e a come si è comportata la Germania dopo il crollo del 2008: gli Usa lanciarono il Piano Marshall che portò allo sviluppo dell’Ue, la Germania ha imposto un programma di austerità che ha servito solo i propri interessi.
Prima della riunificazione tedesca, la Germania era il principale motore che trainava l’Europa: era disposta a contribuire un po’ più degli altri per venire incontro a chi faceva resistenza. Ricordate il contributo tedesco della Germania per soddisfare le richieste della Thatcher sul bilancio Ue?

Ma riunire la Germania in un rapporto 1:1 si rivelò molto costoso. Quando ci fu il crollo di Lehman Brothers, la Germania non si sentì abbastanza ricca da assumersi ulteriori obblighi. Quando i ministri delle Finanze europei dichiararono che non avrebbero permesso che nessun’altra istituzione finanziaria importante fallisse sistematicamente, la cancelliera tedesca Angela Merkel, ben interpretando i desideri dei suoi elettori, dichiarò che ogni Stato membro avrebbe dovuto badare alle proprie istituzioni. Quello fu l’inizio del processo di disintegrazione.

“La democrazia è in crisi. Persino gli Usa, la più grande democrazia del mondo, hanno eletto un mago della truffa e un potenziale dittatore alla presidenza”

 

Dopo il crollo del 2008, l’Ue e l’Eurozona diventarono sempre più disfunzionali. Le condizioni erano sempre più lontane da quelle previste dal Trattato di Maastricht, ma una modifica dei trattati diventò sempre più difficile e alla fine impossibile, perché non poteva essere ratificata. L’eurozona fu vittima di leggi antiquate. Le tante necessarie riforme potevano essere messe in atto solo trovando delle scappatoie. Ecco come le istituzioni sono diventate sempre più complicate e gli elettori sempre più alienati. L’ascesa dei movimenti anti-Ue ha impedito il funzionamento delle istituzioni. La disintegrazione ha ricevuto una grande spinta nel 2016, prima con la Brexit, poi con l’elezione di Trump negli Usa e il 4 dicembre con il netto rifiuto degli elettori italiani delle riforme costituzionali.

La democrazia è in crisi. Persino gli Usa, la più grande democrazia del mondo, hanno eletto un mago della truffa e un potenziale dittatore alla presidenza. Anche se Trump ha moderato i toni della sua retorica, da quando è stato eletto, il suo comportamento e i suoi consiglieri sono rimasti gli stessi. Il suo gabinetto è formato da estremisti incompetenti e generali in pensione.

Cosa ci aspetta? Sono sicuro che la democrazia resisterà negli Usa. La Costituzione e le istituzioni americane, compreso il Quarto potere, sono abbastanza forti da resistere agli eccessi del ramo esecutivo, impedendo così a un potenziale dittatore di diventare tale. Ma nel prossimo futuro gli Usa dovranno far fronte alle lotte interne e a farne le spese saranno le minoranze. Gli Usa non saranno in grado di proteggere e promuovere la democrazia nel resto del mondo. Al contrario, Trump avrà una maggiore affinità con i dittatori e questo permetterà loro di arrivare a un accordo con gli Usa e ad altri di andare avanti senza interferenze. Trump preferirà scendere a patti piuttosto di difendere i principi, e, malauguratamente, questo piacerà ai suoi elettori più convinti.

Ma sono particolarmente preoccupato del destino dell’Ue, che rischia di ricadere sotto la sfera di influenza del presidente russo Vladimir Putin, la cui idea di governo non si concilia con quella della società aperta. Putin non è certo un beneficiario passivo dei recenti sviluppi, lui ha lavorato e anche parecchio per provocarli. Ha riconosciuto la debolezza del suo regime: può sfruttare le risorse naturali, ma non generare crescita economica. Si è sentito minacciato dalle “rivoluzioni colorate” in Georgia, Ucraina e altrove. Sulle prime, ha cercato di controllare i social network, poi con una mossa brillante, ha sfruttato il modello delle società di social network per seminare disinformazione e false notizie, disorientando gli elettori e destabilizzando le democrazie. È così che ha contribuito all’elezione di Trump.

Lo stesso potrebbe accadere nella stagione elettorale europea del 2017, in Olanda, Germania e Italia. In Francia, i due principali contendenti sono vicini a Putin e non vedono l’ora di accontentarlo. Se uno di loro dovesse vincere, il dominio di Putin in Europa diventerà un fait accompli. Il guaio è che il metodo che Putin ha usato per destabilizzare la democrazia non può essere usato per restaurare il rispetto per la verità e per una visione equilibrata della realtà. Spero che i leader e i cittadini europei capiscano che questo mette in pericolo il loro modo di vivere e i valori sui quali è stata fondata l’Ue. Con la crescita economica che va a rilento e la crisi dei profughi fuori controllo, l’Ue è sull’orlo della crisi.

La Ue è pronta ad attraversare un’esperienza simile a quella vissuta dall’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta. Chi crede che la Ue abbia bisogno di essere salvata per essere completamente reinventata, deve fare tutto il possibile per giungere a un epilogo migliore.

(Traduzione di Francesca Novajra)

© Project Syndicate, 2016

L’autore è presidente del Soros Fund Management e di Open Society Foundations, e di recente ha scritto The Tragedy of the European Unione. Disintegration or Revival.

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