Quanti sono i money transfer in Italia? A questa domanda non c'è una risposta. La maggior parte delle società e dei punti vendita attivi nelle città italiane sfuggono a ogni rilevazione. Le uniche certezze sono quelle monitorate all'Oam, l'Organismo che gestisce gli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. Agli elenchi, però, sono obbligati a iscriversi soltanto gli agenti che ricevono un mandato da una società italiana. Una piccola minoranza rispetto al mare magnum degli agenti comunitari, cioè di quegli operatori che lavorano per conto di una società domiciliata in uno dei Paesi dell'Unione europea. Su di loro non c'è alcuna forma di monitoraggio. E così i money transfer rappresentano anche sotto questo punto di vista un vero buco nero.
L’asimmetria normativa
Federico Luchetti, direttore generale dell'Oam, usa le parole «asimmetria normativa» per fotografare la situazione italiana.
«La normativa del nostro Paese – ragiona Luchetti con il Sole-24 Ore – è sicuramente più stringente rispetto a quella prevista
dalla Psd, la direttiva europea sui servizi di pagamento, in termini di requisiti richiesti».
La normativa comunitaria, infatti, consente agli istituti di pagamento che hanno sede in uno dei 28 Paesi della Ue di utilizzare
l'autorizzazione ricevuta da quello specifico Stato per operare su tutto il territorio dell'Unione. «Per intenderci –spiega
Luchetti – la disciplina dell'agente, cioè di colui il quale fa l'operazione di trasferimento di denaro, segue la disciplina
prevista dal Paese che ha dato l'autorizzazione alla società da cui l'agente stesso ha ricevuto il mandato».
Ecco l'asimmetria normativa. «C'è una legislazione, soprattutto anglosassone, molto più lasca di quella italiana: in molti
Paesi non c'è quell'attenzione che c'è nel nostro ordinamento – continua il direttore generale dell'Oam – . Prendiamo due
agenti che svolgono stessa attività di rimessa di denaro. Se uno ha ricevuto mandato da un istituto di pagamento italiano
deve possedere degli specifici requisiti di professionalità e di onorabilità , e deve frequentare un corso di aggiornamento
ogni anno. Se invece ha ricevuto il mandato da un istituto comunitario la sua preparazione e i requisiti di professionalitÃ
e onorabilità sono quelli del Paese di origine, che sono meno stringenti di quelli nazionali».
I money transfer si sono subito accorti dei vantaggi di questa normativa e ne hanno approfittato immediatamente. Racconta
Luchetti: «Nel 2010, quando fu introdotta la direttiva, ci fu un istituto di pagamento italiano che chiuse l'autorizzazione
ricevuta da Bankitalia, la trasferì in Spagna e utilizzò come passaporto comunitario quello concesso dall'autorità spagnola
perché la normativa era meno stringente. Siccome la disciplina di queste reti distributive prevede che siano disciplinate
secondo l'ordinamento del Paese che ha dato autorizzazione, lo stato italiano non può derogare e si è creata questa asimmetria.
Lo si vede negli iscritti: c'è uno squilibrio spaventoso tra agenti comunitari e agenti italiani».
Chi resta fuori dai radar
Secondo i dati forniti dall'Oam al Sole 24 Ore, nella sezione speciale dell'elenco degli agenti in attività finanziaria erano
iscritti (al 31 dicembre 2016) 1.504 agenti di istituti di pagamento o di moneta elettronica italiani. I collaboratori erano
2.529.
Se si considerano invece soltanto gli agenti italiani che hanno indicato tra i propri prodotti il money transfer i numeri
si riducono. Al 20 gennaio 2017 se ne contavano complessivamente 1.028, di cui 946 persone fisiche e 82 persone giuridiche.
«Un agente cosiddetto “pieno” può promuovere contratti sia su finanziamenti sia su prestazioni di servizi di pagamento come
il money transfer – dice Stefano Albisinni, responsabile degli elenchi dell'Oam – . È iscritto in un nostro elenco ed è sottoposto
a una serie di controlli sui requisiti di professionalità e onorabilità e a un controllo specifico dell'organismo. Poi ci
sono gli agenti che prestano solo servizi di pagamento. Questi soggetti si devono iscrivere nella sezione speciale dell'elenco
degli agenti pieni. Gli iscritti, poi, devono comunicare i nominativi dei soggetti che entrano in contatto con il pubblico».
Ma gli agenti che lavorano per una società estera non sono iscritti agli elenchi italiani: dovrebbero essere registrati nelle
liste del paese di appartenenza della società . Dovrebbero, appunto. Perché le autorità italiane non possono accertarlo preventivamente.
«Il fatto di non essere iscritti li tiene fuori dalla vigilanza dell'organismo – precisa Albisinni – . Oggi abbiamo circa
18mila agenti comunitari ai quali fanno capo circa 22mila punti vendita. Questo sulla base delle informazioni che riceviamo.
Ma potrebbero essere di più».
Per tappare, almeno in parte, queste falle, la normativa prevede che gli istituti comunitari predispongano dei “punti di contatto”
in Italia, che hanno il compito di fungere da trait d'union con le autorità italiane.
Ma quanti sono gli istituti che hanno creato un punto di contatto in Italia? Appena 14, per un totale di 21.950 punti vendita
e 17.953 mandati. Gran parte di loro sono società domiciliate in Gran Bretagna.
Su questi agenti i poteri dell'Oam sono inesistenti. Per gli iscritti italiani le sanzioni comminate dall'Organismo per violazione
degli obblighi di professionalità e onorabilità possono arrivare alla radiazione fino a 5 anni ma sugli stranieri non c'è
giurisdizione. In caso di violazione degli obblighi l'Oam informa il ministero dell'Economia che, sentito il ministero degli
Esteri, può avvisare le autorità del paese in cui la società è registrata. «L'organismo non può inibire l'attività », racconta
Albisinni. Finora le segnalazioni inviate dall'Oam alle autorità dei Paesi d'origine degli agenti sono state 15, di cui 10
inviate alla Financial conduct authority della Gran Bretagna e 5 alla Banca centrale irlandese. Tutte segnalazioni legate
alle norme sull'antiriciclaggio.
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