Caro Direttore, chiedo di poter intervenire nella discussione, avviata sul suo giornale da Luigi Zingales, sulle prospettive per l’Italia nell’euro e quindi nell’Unione europea. So di essere privo del fisico giusto per scavalcare l’asticella accademica, fissata così in alto da Zingales. Non è però solo la mia inadeguatezza a farmi ritenere utile impostare su un altro piano la discussione; come ha qui scritto Franco Debenedetti, il tema su cui si giocherà nei prossimi mesi il confronto sarà politico.
Il dibattito avviato da Zingales sarà comunque utile, giacché per deliberare bisogna prima conoscere; non sarà però un armamentario di modelli econometrici, per quanto sofisticati, a vincere la battaglia che abbiamo davanti che è, appunto, politica. Politica è stata la scelta britannica per la Brexit, così come, ovviamente, la vittoria contro tutte le previsioni, di Donald Trump negli Usa. L’Europa, e l’euro, sono un progetto politico partito dall’economia, ma non si infrangerà sugli scogli che questa gli pone davanti; un fatto che anche i migliori commentatori anglosassoni paiono incapaci di fare proprio. Rischio, lo so bene, di apparire retorico, ma mi pare doveroso per chi, ormai al tramonto, visse un’altra stagione, dare qui una testimonianza. Come pigmei alle prese con questioni enormi, ci arrabattiamo sulle spalle dei giganti che ci han preceduto, inetti a tramandare la loro lezione quanto un bimbo costretto a spiegare la teoria del Big Bang, eppur bisogna provarci.
Tralascerò una serie di considerazioni che si affollano alla mente, sul perché sganciarci dal nostro ancoraggio europeo devasterebbe la nostra generazione, e alcune altre future. Prenderebbe troppo spazio; altri meglio lo han scritto e scriveranno. Voglio però ricordare come il nostro sia, secondo la felice definizione di Giorgio Ruffolo, un Paese troppo lungo: con la testa addossata alle Alpi e i piedi nel Mediterraneo, un mare sempre più caldo, in senso letterale e figurato. Per un Nord che può stare a buon diritto in un eventuale “nucleo duro” dell’Euro, abbiamo un Sud arrancante; esso è sopraffatto dall’incapacità di affrontare con severa concretezza i propri problemi e dal distaccato disinteresse del Nord, che troppo spesso li dimentica stufo (e pago) dei miliardi buttati in opere inutili, spesso neanche completate, dopo il tempo di una Cassa del Mezzogiorno seria ed efficace. Un grande debito pubblico unisce Nord e Sud, anche per l’evasione fiscale che li affratella; più alta in percentuale al Sud, ma in assoluto, e di molto, al Nord.
Ove pure l’analisi economica dimostrasse la convenienza di abbandonare quell’ancoraggio, la saggezza politica imporrebbe tuttavia a una classe dirigente volta al futuro di non cedere a quelle vaghe sirene, e di abbracciare invece la sfida che il Paese tutto, se vuol restare unito, ha davanti: completare l’opera di tanti illustri italiani, che per quella unità e per un sano sviluppo del Sud e del Paese tutto, han dato tempo e risorse. E qualcuno pure la vita. Siamo come un viaggiatore che, marciando nella tormenta di neve, scorga lontane sì, ma pur raggiungibili, le luci del rifugio che lo può salvare; spaventato dallo sforzo necessario, egli è tentato dalla speranza di trovare prima un anfratto nella roccia in cui fermarsi. La saggezza gli dice di procedere, ma ha paura di non farcela; se cede, avrà presto finito di soffrire. Forse lo ignora, forse è proprio tale prospettiva ad attrarlo.
Fuor di metafora retorica, dobbiamo scegliere il futuro che vogliamo, ricordando quante inutili sofferenze verrebbero al Paese anche dalla, in apparenza semplice, scelta di arrendersi. Si arrende chi suona il piffero che ci menerebbe come i bimbi di Hamelin al fiume, ma anche chi crede che agli italiani la verità non vada detta, perché gli manca la determinazione necessaria per arrivare al rifugio. Per essere concreti, e a mero titolo di esempio, però significativo: se vogliamo un Documento di economia e finanza (Def) credibile, cominciamo a modernizzare un catasto ottocentesco, fonte di gravi ingiustizie a danno di chi vive in edifici periferici, e a tutto vantaggio di chi abita storiche dimore in centro città. Uno di quei giganti sopra citati raccomandava di restare attaccati alle Alpi, e non sprofondare nel Mediterraneo: diamogli retta, sperando che a trascinarci nei flutti non siano i cugini latini.
Salvatore Bragantini è economista ed ex Commissario Consob
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