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Dossier Euro, serve un «piano B» per il divorzio amichevole

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    Dossier | N. 25 articoli#Eurodibattito

    Euro, serve un «piano B» per il divorzio amichevole

    Qual è il problema fondamentale dell’euro? È l’impianto regolativo mercantilista nel quale è inserito. In tale impianto, alimentato dalla svalutazione del lavoro, la moneta unica è insostenibile sul piano dei fini costituzionali, prima che sul terreno economico.

    La ragione è banale. Il mercantilismo fonda la crescita della propria economia sulla domanda altrui. Tutti cerchiamo la domanda altrui, le nostre esportazioni, attraverso la svalutazione interna, in particolare del lavoro. Quindi, la domanda aggregata complessiva è insufficiente: il livello dell’attività produttiva diventa strutturalmente inadeguato, innanzitutto, all’offerta di lavoro. Opera una spirale di investimenti scarsi, sotto-occupazione e sotto-consumo. In sintesi, il mercantilismo, per ragioni algebriche, non può essere generalizzato. L’obiettivo implicito nei Trattati europei di germanizzare la Ue o, almeno, l’Eurozona è irraggiungibile, tanto più in una fase storica in cui gli Usa, attraverso Trump, muovono verso l’“America first” in quanto non più in condizioni di fare il “consumatore di ultima istanza”, come hanno fatto per un lungo periodo.

    Quali sono i pilastri del mercantilismo made in Eu? Il mercato unico senza standard sociali è stato il motore primario, potenziato dal disinvolto allargamento a Est, enorme serbatoio di forza lavoro qualificata a prezzi infimi. Le principali direttive da esso derivate – dalla devastante direttiva per i posted workers, causa rilevante della Brexit, alla Bolkestein – oltre che i trattati di “libero scambio”, hanno determinato un vertiginoso dumping sociale. Poi, la moneta unica, costituzione materiale insieme allo statuto della Banca centrale europea e al Fiscal compact, ha messo il turbo al mercantilismo dell’eurozona: né Reagan, né la Thatcher avrebbero osato proporre una Banca centrale impossibilitata a fare il prestatore di ultima istanza o l’equilibrio di bilancio in Costituzione. Infine, l’austerità pro-ciclica per ridurre costo diretto e indiretto dei fattori produttivi, in primis il lavoro. Lo spiaggiamento delle classi medie consegue.

    Insomma, nonostante la “rivoluzione keynesiana” degli anni 30 del ’900, domina la “Legge di Say” (1803), secondo la quale l’offerta creerebbe la domanda. Così, “la crisi” è la fisiologia del sistema euro e della Ue, non effetto di errori dei tecnocrati di Bruxelles o dei ritardi dei “terroni europei”.

    Che fare? Primo passo, un’analisi fondata. Per noi Piigs è difficile. Siamo narrati e ci auto-narriamo come “peccatori” a fronte dei “santi” al centro del continente. Insistiamo su problemi interni, veri ma di secondo ordine, per spiegare le nostre misere performance. Secondo passo, radicali correzioni dell’agenda di politica economica e sociale: introduzione di standard sociali e ambientali agli scambi di merci e servizi e blocco del Ceta e Ttip; riscrittura dello statuto della Banca centrale europea sul modello della Federal Reserve degli Stati Uniti; applicazione di un meccanismo finanziario punitivo per i saldi commerciali positivi, come tratteggiato da Keynes nel 1943; inserimento di una golden rule nelle regole di finanza pubblica; completamento equo dell’unione bancaria; realizzazione di una conferenza europea per la sostenibilità dei debiti sovrani, come fatto per la Germania dopo la II Guerra Mondiale.

    È evidente l’enorme difficoltà politica delle correzioni necessarie. Non solo per l’identità storico-politica di Berlino, comodo capro espiatorio. Ma perché “questa Ue” e “questo euro” trovano sostegno da chi, in ciascun ambito nazionale, vive di export e beneficia della svalutazione del lavoro. È, ad esempio, la constituency originaria del neopresidente Macron. Per tentare di invertire rotta, è decisivo costruire una coalizione per la domanda interna: artigiani, commercianti, professionisti, piccole imprese e i connessi lavoratori subordinati legati soprattutto al mercato nazionale. In assenza di correzioni, per evitare il naufragio, il Titanic Europa deve provare a negoziare, come da ultimo scrive Joseph Stiglitz, un piano B per il “divorzio amichevole”, per tutti gli sposi, senza rotture unilaterali, della moneta unica. L’obiettivo non è continuare il mercantilismo con altri mezzi: la svalutazione della moneta invece che del lavoro. Non è neanche la chiusura autarchica. L’obiettivo è un sentiero pro-labour di integrazione della Ue, una cooperazione tra Stati meno regressiva e la ricostruzione delle condizioni minime per un keynesismo 2.0.

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