In Italia sono in arrivo due nuovi centri logistici: nel Lazio e a Vercelli. Nel Regno Unito e in Germania è partita ieri l’offerta di canali tv. Per il colosso Amazon l’Europa appare sempre più come un tassello decisivo. Ecommerce; cloud computing che vale più del 10% del fatturato e che fa del colosso Usa tra i leader globali delle piattaforme B2B; Iot; ora anche investimenti nella tv attesi, peraltro, in forte aumento.
La scommessa di Amazon parte da lontano, con l’attività di vendita online dei libri, ma guarda molto in là. Il presente parla intanto di un conglomerato che è la quarta società nel mondo per capitalizzazione di mercato (455 miliardi di dollari). Un investimento da 10mila dollari nel gigante di Seattle 20 anni fa ora varrebbe 4,9 miliardi di dollari. Chi ci ha creduto, insomma, non se ne è pentito.
E tutto questo prima che si abbia piena consapevolezza del peso che Amazon avrà nel mondo media, con un’incidenza destinata ad aumentare e non di poco, come dimostra anche la possibilità, data da ieri ai clienti abbonati al servizio Prime in Regno Unito e Germania, di fruire – pagando una quota aggiuntiva – di canali tv premium live (si veda altro articolo in pagina). In questo quadro gli investitori si attendono un balzo dei ricavi: dai 136 miliardi di dollari del 2016 ai 500 miliardi del 2020. È la scommessa di Amazon.
L’Italia in questa partita è chiamata a fare la sua parte. E da varie cose si capisce che per il colosso guidato da Jeff Bezos il Belpaese abbia una sua rilevanza nel business. «Nel 2011 in Italia movimentammo un milione di unità in un anno. Nel 2016, nel giorno di picco dell’attività, un milione di unità in 24 ore». Stefano Perego – direttore operation nel Regno Unito dove gestisce l’attività di tutti i 12 (diventeranno 15 entro l’anno), magazzini presenti in quello che è il primo mercato di riferimento per Amazon, dopo gli Usa – è stato anche colui il quale ha lanciato le attività del colosso di Seattle in Italia. Era ritenuto un mercato potenzialmente interessante l’Italia, allora.
È un mercato di primaria importanza per Amazon oggi, come dimostrano le due novità che si prospettano proprio sul fronte logistico: l’apertura di un nuovo centro di distribuzione vicino a Roma, presso Passo Corese (Rieti), con 1.200 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato in 3 anni e un investimento di 150 milioni e l’apertura di un centro di distribuzione a Vercelli, con la creazione di 600 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato in 3 anni, per 65 milioni di investimento. A questi si aggiungono, già esistenti, un centro di distribuzione urbano di 1.500 metri quadrati a Milano per il servizio ai clienti Amazon Prime; tre depositi (recenti) di smistamento ad Avigliana (Torino), Origgio (Varese) e Rogoredo (Milano) e quello che è il vero fulcro dell’attività logistica di Amazon in Italia: il centro logistico di Castel San Giovanni con 1.500 dipendenti.
La lenta avanzata dei sindacati
Questo enorme magazzino nel Piacentino, che è stato l’avamposto delle attività di Amazon in Italia, rappresenta ora il teatro della scommessa che il mondo sindacale ha deciso di giocare con il colosso dell’e-commerce: la stesura di un contratto integrativo per i dipendenti, tutti assunti a Castel San Giovanni con contratto del commercio, a 1.450 euro lordi (quelli dei tre depositi hanno invece il contratto della logistica). «Circa un anno fa siamo riusciti a entrare in azienda con le nostre rappresentanze sindacali riconosciute come Rsa», spiega Vincenzo Guerriero della Uiltucs-Unione Italiana Lavoratori Turismo, Commercio e Servizi. Non è stato facile, racconta il sindacalista. Ora l’idea del contratto di secondo livello. Su cui però, almeno a giudicare da quello che Amazon replica al Sole 24 Ore, non c’è troppo da confidare: «Abbiamo ricevuto nei mesi scorsi una proposta di piattaforma integrativa da parte delle organizzazioni sindacali. A seguito di un’attenta analisi, abbiamo ritenuto la proposta ricevuta non in linea con una visione di sviluppo a lungo termine del centro di distribuzione di Castel San Giovanni. In Italia così come negli altri Paesi in Europa in cui siamo presenti, manteniamo relazioni con le rappresentanze dei lavoratori e le organizzazioni sindacali; allo stesso tempo manteniamo la nostra politica della porta aperta che incoraggia i dipendenti a trasferire i loro commenti, le loro domande e le loro preoccupazioni direttamente al proprio management team. Crediamo fermamente che questo rapporto diretto sia il modo più efficace per capire e rispondere alle esigenze del nostro personale». Insomma, se non mission impossible, dovranno sudare molto i sindacati per raggiungere un obiettivo che, invece, le organizzazioni vorrebbero conseguire entro fine anno come riferito durante un incontro, lo scorso 11 maggio.
Tematiche controverse
Se ciò avvenisse sarebbe senz’altro una pietra miliare in un contesto, quello delle condizioni di lavoro, che resta fra i più controversi insieme con il tema fiscale. Su quest’ultimo versante, secondo la Guardia di finanza, Amazon avrebbe evaso 130 milioni di euro di Ires nel periodo 2009-2014 utilizzando una «stabile organizzazione occulta» operante in Italia. La risposta del colosso guidato da Jeff Bezos è stata affidata a una nota in cui si ribadisce che la società «paga tutte le imposte che sono dovute in ogni Paese in cui opera. Le imposte sulle società sono basate sugli utili, non sui ricavi, e i nostri utili sono rimasti bassi a seguito degli ingenti investimenti e del fatto che il business retail è altamente competitivo e offre margini bassi».
Sul fronte lavoro, invece, è su ritmi fin troppo spinti nei magazzini che si concentrano, quando emergono, i j’accuse. «È una leggenda. Non è vero. Per questo qualsiasi giornalista voglia in Italia è invitato a verificare di persona, anche senza preavviso», ha replicato sul punto al Sole 24 Ore Stefano Perego qualche settimana fa, presentando il sistema di logistica automatizzata in uso a Dunstable vicino a Londra (come in altri due centri logistici inglesi, uno spagnolo e uno in Polonia) e che sarà usato anche nel magazzino di Passo Corese (si veda Il Sole 24 Ore del 28 aprile). «Da quello che abbiamo potuto verificare – precisa Guerriero (Uiltucs) – Amazon è molto attenta alla sicurezza dei lavoratori e alle condizioni generali di lavoro. Devo altresì dire che ogni tanto ci arrivano segnalazioni. Quando però siamo andati a verificare abbiamo magari constatato che non è totalmente vero quello che dice il lavoratore e non è totalmente vero quel che replica l’azienda. La verità sta nel mezzo e occorre sempre considerare che si è all’interno di un’organizzazione complessa dove lavorano in tanti. Spesso sono situazioni che dipendono dal tipo di lavoro, che comunque è un lavoro da magazzino che presenta di per sé difficoltà insite».
Cambiamenti che «pesano»
Intanto in Amazon i posti di lavoro nel 2017 sono cresciuti di 600 unità, superando quota 2mila. Del resto oltre agli investimenti negli impianti logistici il gigante dell’e-commerce ha aperto i suoi uffici a Milano nel 2012, un centro per l’assistenza ai clienti a Cagliari (350 dipendenti) e lo scorso luglio ha annunciato che entro fine anno sarà aperto a Torino un Centro di Sviluppo per la ricerca sul riconoscimento vocale e sulla comprensione del linguaggio naturale che supporterà la tecnologia già impiegata per l’assistente vocale Alexa, al momento disponibile solo in inglese sui dispositivi come Amazon Echo, Echo Dot, Amazon Fire TV e Amazon Tap. Occorrerà poi vedere se e come Amazon si interesserà ai diritti tv del calcio nel nostro Paese: possibilità al momento ventilata solo da rumors di mercato. «Quello su cui nel complesso si riflette poco – dice Fabrizio Dallari, docente di Logistica e Supply Chain management alla Liuc, Università Cattaneo – è il cambiamento conseguenza dell’attività di Amazon. Pensiamo ad esempio ad Amazon Prime Now, con la consegna dei prodotti dopo una o due ore dall’ordine (questa cosa è per ora possibile solo a Milano e in 49 comuni dell’hinterland, ndr.). L’entrata nei meccanismi di acquisto di questi tempi di risposta comporterà cambiamenti nella logistica, nel traffico sulle strade, nelle condizioni dei lavoratori sulle quali si riflette troppo poco. E poi siamo sicuri che sarà meglio per i lavoratori con la logistica automatizzata, in piedi fermi per ore?».
Di certo, per ora la gran parte della gente comune, ma anche molte imprese, sperimenta quelli che possono apparire indubbi vantaggi. «È innegabile che Amazon stia contribuendo allo sviluppo dell’e-commerce in Italia portando innovazioni che rendono gli acquisti più semplici per il cliente» dice Riccardo Mangiaracina, responsabile scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano. Ma c’è da preoccuparsi se tutto questo avviene per mano di un colosso che può dare le carte anche in tutte le fasi del gioco, e quindi anche in quelle che riguardano le imprese e i prezzi di vendita? «L’e-commerce è già di per sé un fenomeno molto concentrato. Il marketplace del gruppo Alibaba in Cina vale oltre tre quarti del mercato. E parliamo di un mercato da oltre 700 miliardi, contro i 23 di quello italiano».
© Riproduzione riservata