Dovrebbe tenerlo, degradarlo o farlo fuori? Alcuni ritengono che il primo ministro britannico Theresa May stia per spostare Boris Johnson, il segretario degli Esteri, a un incarico di rango meno elevato. Eppure, interrogata la settimana scorsa sul futuro di Johnson, ha detto alla BBC: «Non credo che sia espressione di una leadership forte avere solo collaboratori che dicono sì».
È quasi certamente un atteggiamento poco onesto. Se tiene Johnson al suo posto, non sarà perché apprezza avere una voce dissidente nel suo gabinetto, ma piuttosto perché teme i danni che potrebbe arrecare una volta fuori. Johnson ha sostenuto con insistenza una linea più dura nei negoziati di Brexit rispetto a quella sviluppata dalla May. Fuori dal governo, potrebbe guidare, o incoraggiare, coloro che vogliono allontanarla da Downing Street.
Ma c’è un motivo per cui la May ha usato l’argomento: «Io non voglio solo yes-men». Le persone ne hanno familiarità, perché si tratta di un punto fondamentale dei manuali di gestione di un’organizzazione aziendale.
I leader, economici e politici, spesso dicono di voler ascoltare una serie diversificata di opinioni. Avere addirittura dissidenti nella prima squadra è come se il dentista togliesse la calcificazione dei denti. Lo sai che è buono per te, non significa che ti piaccia.
Come la maggior parte di noi, i leader preferiscono che le persone che li circondano esprimano cenni d’accordo su tutto quello che dicono. La persona che solleva continuamente obiezioni sembra dare fastidio, e i leader cominciano a risentirsi nei loro confronti. Il ruolo del dissidente sembra invece facile. Tutto quello che deve fare è obiettare. Non ha la responsabilità del leader per il risultato.
Anche altri nella prima squadra possono alla fine risentirsi. Il dissidente porta allo scoperto l’imbarazzante tendenza di tutti gli altri ad andare d’accordo. Essere in sintonia con il capo, piuttosto che trovare da ridire su tutto, è il modo per andare avanti.
Si dice spesso che la ragione per cui le squadre top commettono errori è la patologia conosciuta come «pensiero di gruppo». Il vero movente è il consenso e il desiderio di ottenere l’approvazione del capo. Le persone possono pensare diversamente dal resto del gruppo, ma è più comodo, e opportuno, essere d’accordo con tutti gli altri.
Che cosa dovrebbero fare i leader ragionevoli in relazione ai dissidenti?
In primo luogo, smettete di preoccuparvi che il dissidente possa soppiantare il vostro lavoro. Se avete formato un team di talento, almeno alcuni di loro aspireranno al vostro incarico. Parte del vostro lavoro vi aiuta a identificare quale di loro dovrebbe alla fine avere successo.
In secondo luogo, insistete sul fatto che i dissidenti non si limitano solo a fare obiezioni su obiezioni. Chiedete loro proposte alternative. Invitateli a fare presentazioni alla prima squadra e a farle discutere da tutti. Di conseguenza, è possibile che ne esca un piano migliore. In questo modo verranno incoraggiati anche coloro che, pur essendo preoccupano della direzione in cui state andando, sono tuttavia timorosi ad esprimere la propria opinione.
Dovreste persino provare ad articolare la stessa posizione del dissidente. Parlando ad alta voce, potreste convincervi che il dissidente ha davvero ragione. In caso contrario, avrete dimostrato di aver preso almeno in considerazione le alternative. Probabilmente le vostre decisioni saranno migliori e, di conseguenza, la vostra posizione risulterà più forte.
Tuttavia, bisogna anche dimostrare che ci sono limiti alla dissidenza. In primo luogo, una volta che una decisione è presa, l’intera squadra dovrebbe difenderla pubblicamente. La responsabilità collettiva è tanto importante per la leadership organizzativa quanto per il governo. Se i membri della squadra di alto livello non appoggiano la decisione, perché gli altri dovrebbero agire?
In secondo luogo, minare il leader, internamente o in pubblico, è qualcosa di inaccettabile. Il dissenso deve manifestarsi all’interno del gruppo di alto livello. Non c’ è posto per esso fuori.
Johnson è riuscito a combinare la divergenza pubblica dalle posizioni della May - un lungo articolo sul Telegraph e un’intervista sul Sun – con sfacciate richieste di mobilitazione di tutti i conservatori per sostenerla. È un trucco manifesto, e nessuno potrebbe biasimare la signora May se volesse dar seguito al fatto di non sentirsi più in grado di sopportarlo. L’ irritazione dei conservatori per la slealtà di Johnson può significare che la May potrebbe farla franca, e che la sfida lanciata da Boris è svanita.
La vita aziendale è diversa. Un dissidente espulso potrebbe finire tra le braccia di un concorrente, ma, a meno che possa documentare la sporcizia del leader, è improbabile che faccia molto danno. Le sue possibilità di rivolgersi all’opinione pubblica sono minori.
Con il suo comportamento, Johnson non riuscirebbe a farla franca nel mondo degli affari. E se la signora May lo caccia, e le sue ambizioni ministeriali non approdano a nulla, difficilmente riuscirà a ottenere molti inviti a far parte dei consigli di amministrazione.
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