È iniziato ufficialmente il countdown verso il 20 novembre, giorno in cui verrà resa nota la scelta finale sull’Ema. E tutti noi facciamo il tifo affinché la scelta ricada su Milano, che deve competere con altre 18 candidate ma che, dopo l’uscita di Barcellona considerata ormai fuori gioco dopo la dichiarazione d’indipendenza catalana, risulta tra le favorite insieme soprattutto a Bratislava, Amsterdam e Copenaghen.
La posta in palio è alta. I sei criteri presi in considerazione per la valutazione tengono conto innanzitutto della garanzia dell’operatività dell’Agenzia nella nuova sede nei tempi prestabiliti senza interruzioni o rallentamenti e della continuità del business ma, cosa altrettanto importante, della logistica per i dipendenti e i visitatori. La candidatura di Milano, tra le città migliori per sede e collegamenti, soddisfa tutti i requisiti richiesti, è risultata tra le sedi più gradite da parte del personale che dovrà essere trasferito nella nuova sede, e ha quindi tutte le carte in regola per potersi aggiudicare l’assegnazione.
Ma perché sarebbe così importante per Milano, la Lombardia e l’Italia in generale diventare la nuova sede dell’Ema? Molti gli interventi a favore di tale scelta dal mondo dell’imprenditoria e quello politico, ma pochi sono quelli dal mondo della ricerca. Il settore farmaceutico rappresenta un’eccellenza in Italia e si trova al primo posto rispetto agli altri comparti dell’industria anche per spesa in Ricerca & Sviluppo, ma è ancora indietro a livello internazionale, considerando che la scarsità di investimenti in ricerca deriva non solo dalla mancanza di fondi pubblici ma anche da inadeguati investimenti privati. E quindi sarebbe veramente importante dare una spinta alla ricerca di base oltre che alla sperimentazione clinica.
La presenza di una Agenzia europea di tale rilevanza come l’Ema costituirebbe certamente un indubbio fattore di sviluppo non solo per il territorio milanese e lombardo, ma agirebbe come anche come volano a livello nazionale per il rilancio della ricerca scientifica in campo farmacologico, della ricerca clinica e dello sviluppo di nuovi farmaci da parte delle aziende farmaceutiche.
Non solo. Si aprirebbe la strada per la richiesta di nuove figure professionali altamente specializzate nel settore regolatorio del farmaco, con la possibilità di aggiungere all’attuale offerta formativa universitaria nuovi percorsi formativi interdisciplinari e altamente professionalizzanti. Insomma ci sarebbero tante opportunità di lavoro nel settore farmaceutico per i validissimi laureati che vengono formati in maniera eccellente da tutte le principali Università del nostro Paese e che spesso portano le loro competenze al di fuori dell’Italia. È stato così per la Gran Bretagna. La sua posizione di vertice nel campo della ricerca biomedica e farmaceutica mondiale è stata enormemente favorita dalla presenza dell’Ema a Londra, che negli anni ha agito come fulcro per lo sviluppo e il potenziamento degli investimenti nazionali sia pubblici che privati nel campo farmacologico, dalla ricerca di base sui nuovi farmaci, alla organizzazione di trial clinici per valutarne l’efficacia, fino agli studi epidemiologici di sicurezza del farmaco e di farmacovigilanza post-marketing.
L’Italia ha un’ottima reputazione nel settore della ricerca biomedica di base: a fronte di inadeguati investimenti pubblici in ricerca e di scarsi finanziamenti privati, i ricercatori italiani sono tra i più produttivi al mondo in termini di pubblicazioni e numerose strutture hanno contribuito e contribuiscono quotidianamente con le loro scoperte allo sviluppo di nuovi farmaci e nuove terapie. Per non parlare delle reti di eccellenza ospedaliere che portano avanti studi clinici di rilevanza internazionale. Insomma l’Italia, penalizzata da scelte politiche poco lungimiranti che non hanno nel tempo puntato abbastanza sulla ricerca scientifica per il progresso del Paese, meriterebbe davvero questa grande occasione per un rilancio definitivo, concreto e continuativo della ricerca biomedica e della sanità e per la crescita, l’occupazione e il prestigio del nostro Paese.
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