Il robot legge la domanda online dell’investitore e dà la risposta. Oppure: il sistema neurale interpreta il flusso d’ informazioni dai social network per influenzare la strategia di trading. Ancora: l’intelligenza artificiale analizza i documenti contabili di un’azienda quotata e scrive il report sulla medesima. Sono alcuni tra i diversi esempi di applicazione dell’Artificial intelligence (Ai) in finanza. Un fenomeno che prende sempre più piede.
Certo, molti obiettano: “si fa presto a dire Ai”! Vale a dire: gli esperti invitano a rifuggire il marketing che induce a vedere in ogni sistema informatico avanzato una forma di Intelligenza artificiale. Ciò detto, però, è indubbio che l’Artificial intelligence va muovendo passi sempre più concreti nel mondo finanziario.
Così è, per l’appunto, nei front-office delle istituzioni finanziarie: dalle banche alle assicurazioni. Conversica, ad esempio, è una start up basata negli Usa che fornisce sistemi di Ai in grado di gestire il processo di vendita. I suoi software, infatti, rispondono alle e-mail dei clienti. Ne comprendono le esigenze e, dopo conversazioni anche complesse, li indirizzano al responsabile “umano”. Un contesto che, da un lato, dovrebbe ridurre i costi fissi della società; e, dall’altro, migliorare la gestione del cliente stesso.
Quel cliente che, a ben vedere, si ritrova già spesso nelle “mani” di un robot quando chiede dei prestiti. È il caso della piattaforma Upstart. Orbene: questa gestiste circa un terzo di tutte le erogazioni in maniera automatica. Il rimanente prevede l’intervento di un analista o la telefonata al cliente. In un simile contesto l’Ai, sfruttando anche i big data, decide lei a chi concedere il credito e con quali interessi. Non solo. L’algoritmo, osservando la dinamica dei mutui erogati, si aggiorna progressivamente. In questo modo ridefinisce i prezzi per quelli nuovi.
Ma non è solo l’erogazione del credito o il rapporto con i clienti. Un’altra frontiera dell’Intelligenza artificiale è quella della compra-vendita di titoli in Borsa. Su questo fronte, secondo i dati più recenti, a livello globale il 66% del controvalore nominale in azioni è scambiato da algoritmi. Robot-trader che invadono anche altri mercati: sui cambi valutari, ad esempio, le compra-vendite automatiche sono salite al 39% mentre, rispetto ai future, si è arrivati al 49%. Chiaro, quindi, che il software reciti il ruolo da protagonista. Un mondo elettronico dove grazie alla maggiore potenza di calcolo, i minori costi e la digitalizzazione dell’economia gli algoritmi utilizzati diventano sempre più sofisticati. Acquisiscono una loro autonoma intelligenza. Un esempio? Lo forniscono i sistemi, sviluppati dall’americana Portware, capaci di prevedere l’evolversi di molte variabili: dai volumi alla volatilità fino alle anomalie nel flusso degli ordini. Un sistema che, in tempo reale e soprattutto autonomamente, sceglie la strategia migliore a fronte del contesto che cambia.
Già, il contesto che cambia. Il mutamento, a ben vedere, è riscontrabile in alcune attività delle case d’investimento. Perchè? Vediamo. I mercati finanziari, va ricordato, generano una valanga di numeri strutturati: dai bilanci aziendali fino ai dati macroeconomici. Numeri e informazioni finora passati ai raggi X da eserciti di giovani analisti. I quali, dopo ore di lavoro, consegnano le loro sintesi ai colleghi più esperti. Orbene: la tipologia d’intelligenza artificiale della Natural language generation si adatta perfettamente all’attività descritta. Si tratta di algoritmi che consentono di analizzare migliaia e migliaia di informazioni. Il tutto per, da una parte, produrre report che fanno il riassunto dei dati stessi. E, dall’altra, velocizzare il lavoro con (soprattutto) minori costi. Insomma: dal punto dell’organizzazione aziendale e dell’efficientamento del business una vera manna.
Ma sono veramente solo rose e fiori? La realtà è più problematica. In primis, rispetto ad esempio all’attività di trading, deve sottolinearsi che la sempre maggiore diffusione di robot-investitori, agevolati dalla super-informatizzazione dei mercati, spinge verso l’adozione di sistemi altamente complessi. Compresa l’intelligenza artificiale. Un contesto in cui la non comprensione (il cosidetto fenomeno della «black box»)di quanto accade nel sistema stesso può costituire un problema per la stabilità dei mercati. Un esempio? I mini flash crash che continuano a verificarsi sui listini.
Non solo. La rivoluzione digitale, e della robotica, indubbiamente porta notevoli vantaggi. E tuttavia, anche perchè spesso si propone in alternativa all’attività “intellettuale” dell’uomo, può creare difficoltà sul fronte occupazionale.
Certo: molti sostengono che la formazione, in particolare quella scientifica, sarà in grado di ovviare al problema. E però il futuro, pare più complesso. L’Ocse, non certo un’organizzazione “estremista”, ha stimato che la quota di posti a rischio a causa dell’automazione è intorno al 9%. Una percentuale non così bassa. Vale a dire: l’Ai può, e deve essere, un’opportunità. Da cogliersi in tutte le sue sfumature. Fondamentale, tuttavia, rimane l’approccio critico al tema in oggetto.
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