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Dossier Grigioni, la valle svizzera delle società «bucalettere»

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Dossier | N. (none) articoli Le inchieste di Fiume di denaro

Grigioni, la valle svizzera delle società «bucalettere»

(Agf)
(Agf)

SAN VITTORE (SVIZZERA) - Ti aspetti una fabbrica e trovi un vecchio panificio con una buca per le lettere. Cerchi un capannone e ti appare un edificio che di buche per le lettere ne ospita a decine. Il viaggio sulla strada cantonale svizzera che da San Vittore porta al passo di San Bernardino è una sorpresa continua. San Bernardino è una sorpresa continua. Questi 39 chilometri di asfalto percorrono la valle Moesa, uno spicchio di lingua italiana nel Cantone dei Grigioni, al confine con il Canton Ticino. (Da lunedì sul sito del Sole 24 Ore le tre inchieste video).

Siamo ad appena 64 chilometri dal confine con l’Italia e quassù si rifugiano centinaia di società attratte dalla quasi totale mancanza di controlli. Nel registro del commercio del cantone dei Grigioni ci sono ben 3.700 società che hanno sede in Mesolcina e Calanca (le valli che compongono la regione Moesa), di cui 1.581 attive, vale a dire il 43% del totale. Un bel numero per soli 8.500 abitanti.

Anche se è perfettamente legale, il rischio è che dietro molte di queste società si celino anche il riciclaggio di denaro sporco, frodi fiscali e addirittura l’ingresso di capitali della criminalità organizzata italiana e transnazionale.

L’allarme in Svizzera
A lanciare l’allarme sono gli stessi professionisti e politici svizzeri. Paolo Bernasconi, avvocato a Lugano ed ex procuratore pubblico del Canton Ticino, il problema lo conosce bene. «Questa, invece di essere un’isoletta dei Caraibi – spiega Bernasconi –, è un’isoletta di montagna, bellissima sul piano della natura come nei Caraibi. Vale la pena andarci perché non c’è nessun controllo».
È proprio questo il punto che i politici dei Grigioni hanno denunciato in una interpellanza al governo di Coira il 13 giugno 2017. Quel giorno Peter Hans Wellig, granconsigliere supplente del Parlamento dei Grigioni, ha denunciato che «il Moesano è diventato un “Eldorado” per società “bucalettere” che non contribuiscono assolutamente all’economia regionale, ma che anzi la condizionano negativamente. La creazione di queste società – ha proseguito Wellig – porta con sé sovente la richiesta e l’ottenimento dal Cantone tramite allestimento di contratti di lavoro “artificiosi”, di permessi» di residenza.

Il paradosso dei sussidi
Le società infatti vengono spesso utilizzate per ottenere impropriamente i sussidi di disoccupazione. Il sistema è collaudato: si registra una società, ci si fa assumere come dipendenti e si ottiene il permesso di dimora. Una volta che la società viene fatta fallire si richiede il sussidio di disoccupazione, che in Svizzera di regola varia tra 400 e 520 giorni e consente di incassare al massimo 100.800 franchi svizzeri all’anno, che equivalgono a circa 85mila euro. Non c’è dunque da meravigliarsi se i Grigioni italiani sono diventati un cimitero degli elefanti dove le società vanno a morire.

Caccia alle società
In questo cimitero degli elefanti trovare le società che sono ancora attive è un miraggio. Lungo la cantonale, a Roveredo, nessuno meglio della polizia può indirizzare nel luogo giusto chi cerca una società o una fiduciaria. Però non è così. Non resta che provare con l’ufficio postale, ma sulla società sulla quale Il Sole 24 Ore voleva accendere i riflettori – non perché sia coinvolta nella commissione di reati, ma solo perché il suo titolare è italiano ed è noto – l’unica cosa che sanno dire è che non la conoscono e che sarebbe più saggio rivolgersi agli uffici comunali.
Basta poco, una salita, e ci si trova di fronte a un cortese dipendente comunale che, dopo aver sgranato gli occhi di fronte al nome, si prodiga in tutti i modi per cercare l’indirizzo giusto e alla fine tira fuori una cartina. «Seguite questa strada e la troverete», assicura. Detto, fatto. Peccato però che all’indirizzo segnalato non c’è quello che Il sole 24 Ore cercava.
Arrendersi, mai. Dopo due giorni di ricerche e l’intervento di un giornalista della Radiotelevisione della svizzera italiana la buca delle lettere compare.

Fiduciaria con il trucco
La mancanza di controlli è un carburante per le truffe. «Sono numerosissimi gli investitori, non solo italiani, ma anche ticinesi e da tutto il mondo – afferma Bernasconi – che sono stati truffati anche da società che hanno un ufficetto di rappresentanza a Lugano, con brochure in carta patinata, ma che operano in val Moesa».
Ma c’è la volontà politica di cambiare le cose? «Assolutamente no – risponde Bernasconi –, tanto che recentemente si è assistito alla revisione federale dei registri di commercio ma non è stato fatto nessun passo in avanti. E questi ultimi rimangono ciechi, sordi e muti».

C’è chi non si arrende
Mentre polizia, amministrazioni locali e uffici postali brancolano nel buio e la politica dà risposte insoddisfacenti, c’è chi continua a fare indagini anche da pensionato.
Fausto Tato Cattaneo, moesano doc ed ex commissario della polizia federale svizzera, per molti anni è stato un agente sotto copertura all’interno dei cartelli sudamericani della droga. Oggi invece agisce alla luce del sole e dalla sua pagina su Facebook continua a denunciare quello che non va nella sua terra. Non solo. Svolge minuziose indagini che presto confluiranno in un libro. «Il Moesano – dice – è ormai diventata una piccola “regione offshore” che calamita ogni sorta di malintenzionati. Un giorno arriveranno anche i “Marziani”».
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