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Crescita «clausola di garanzia» per i conti previdenziali

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sostenibilità

Crescita «clausola di garanzia» per i conti previdenziali

La vera clausola di garanzia per la sostenibilità dei nostri conti previdenziali si chiama più crescita e più occupazione. Sembra banale ribadirlo, in realtà il tema non è come dovrebbe essere al centro del dibattito politico. Questione strutturale decisamente più rilevante del sostegno, pur fondamentale nel medio-lungo periodo, dei versamenti contributivi dei migranti regolari, al centro della recente polemica tra il presidente dell’Inps, Tito Boeri e il vice premier nonché ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Ne traiamo conferma da una notevole messe di dati e statistiche. Partiamo da un’analisi in corso d’opera, cui sta lavorando il Centro studi economia reale presieduto da Mario Baldassarri. Se non si convogliano tutte le risorse disponibili in direzione dell’aumento del tasso di attività, i conti della previdenza non reggeranno all’onda d’urto della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione. L’eredità del decennio 2008-2017 è pesante: si è passati da 1,6 a 3 milioni di disoccupati. Il costo per le casse dell’Inps stimato dal Centro studi, basato su una media retributiva pari a circa 1.200 euro netti al mese con aliquota contributiva al 25%, è salato: attorno agli 11,5 miliardi l’anno.

Meno occupati, meno base contributiva: l’equazione è semplice e disarmante. E fa il paio con le più aggiornate previsioni messe a punto dalla Ragioneria generale dello Stato, recepite dalla Nota di aggiornamento al Def del settembre 2017, laddove si segnala come, pur calcolando i risparmi attesi dalla riforma Monti-Fornero, la spesa pensionistica aumenterà di circa l’8,3% fino al 2020 (da 264,6 a 286,7 miliardi).

Tra i principali imputati, l’invecchiamento della popolazione, non adeguatamente compensato dal pari sostegno dei contributi dei lavoratori in attività. E qui si segnala il minor apporto dei migranti regolari, destinato a crescere nel tempo. E si potrebbe aggiungere, a fronte dei contributi versati, quanto viene loro “restituito” sotto forma di servizi e di welfare. Negli scenari di medio-lungo periodo della spesa pensionistica messi a punto dalla Commissione europea ma anche dalla Bce, si segnala comunque – in costanza delle attuali regole e dunque senza i radicali mutamenti annunciati in campagna elettorale e in parte recepiti del “contratto di programma” dell’attuale governo – un incremento della spesa dall’attuale 15,7% del Pil al 18,4 per cento.

Per i tecnici di Francoforte, se le riforme adottate finora – ritenute fondamentali per la sostenibilità dei conti previdenziali – fossero radicalmente smontate insorgerebbero “alti rischi”. Torna la questione di partenza, quello del tasso di disoccupazione, per l’Italia attorno all’11 per cento. In un sistema a ripartizione, con l’attuale livello di occupati e una crescita che rallenta, il castello rischia di crollare. Nel focus sulle proiezioni di medio-lungo periodo della spesa previdenziale diffuso lo scorso 28 giugno dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, si incrociano tre esercizi di simulazione: quello della Ragioneria, che nel 2040 prevede una spesa pensionistica al 16,2% del Pil, quello della Commissione Ue in cui si ipotizza un picco al 18,4% e quello dell’Fmi (20,5%). «In tutti e tre gli esercizi – osserva l’Upb - l’incidenza segue un andamento qualitativamente simile».

La prima fase di crescita – in particolare - è dovuta all’aumento del rapporto fra numero di pensioni e di occupati determinato dall’andamento demografico, solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. E allora, se ben lungi dalla polemica politica di corto respiro cui siamo ormai tristemente abituati, si spingesse lo sguardo verso gli scenari che ci attendono, ecco che l’intera questione assumerebbe tutt’altra valenza. Si possono certo modificare le regole, anche in riferimento all’età di pensionamento, ma occorre rendersi conto che la priorità assoluta è accrescere la nostra produttività e dunque il potenziale di sviluppo dell’economia.

Come? Non certo smontando radicalmente riforme che rappresentano agli occhi dei mercati e delle istituzioni internazionali la garanzia di sostenibilità del nostro debito pubblico. La campagna elettorale, anche se non ce ne siamo accorti, è finita. Da questo punto di vista la prossima legge di Bilancio, la prima del nuovo governo Lega/Cinque Stelle costituirà il vero spartiacque per verificare se l’individuazione delle vere priorità del Paese si tradurrà in atti concreti, senza mettere a repentaglio la stabilità dei conti pubblici.

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