Tornare alle pensioni di anzianità significa ridurre il reddito netto dei lavoratori. Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, lo ha spiegato con numeri fin troppo chiari nella Relazione annuale di ieri, l’ultima del suo mandato, accolta alla vigilia da un duro attacco del vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che ieri ha nuovamente bollato l’economista come un marziano perché sostiene che «servono più migranti per pagare le pensioni». Un’accusa non raccolta dal vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, che ha invece confermato la sua fiducia in Boeri fino al termine del mandato, il prossimo febbraio: «Sono sicuro che finché l’Inps farà l’Inps andremo tutti d’accordo».
Boeri più che sui vincoli di bilancio ha insistito sulle dinamiche demografiche che, ha spiegato, possono mettere a rischio il nostro sistema previdenziale nonostante la lunga stagione di riforme. Oggi - ha detto alla Camera - abbiamo circa due pensionati ogni tre lavoratori, nel 2045 potremmo arrivare, stando a scenari Fmi, a un rapporto di uno a uno. E poiché il reddito pensionistico vale l’83% del salario medio, un solo lavoratore potrebbe trovarsi a dover destinare 4 euro su 5 a chi si è ritirato dalla vita attiva. Per questo è servito il passaggio al contributivo con regole meno generose. E per questo tornare dietro costa.
Secondo le nuove stime presentate ieri, con il ritorno alle pensioni di anzianità con quota 100 (o 41 anni di contributi) si avrebbero subito 750mila pensionati in più. Per reggere serve più occupazione che nei prossimi decenni solo maggiori immigrazioni regolari possono garantire, se è vero che nelle mansioni manuali a bassa qualifica oggi i lavoratori stranieri sono il 36% contro l’8% degli italiani. E più immigrazione regolare serve anche per frenare quella illegale, ha proseguito Boeri, indicando il precedente degli Stati Uniti degli anni Sessanta.
Affrontando il tema della flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, Boeri ieri ha spiegato che il superamento della riforma Fornero con quota 100 (partendo da 64 anni di età) costerebbe 4 miliardi il primo anno e 8 a regime, spesa che sale a 11 miliardi il primo anno e 18 miliardi a regime se si aggiunge la finestra di 41 anni di contributi senza limiti di età. Una spesa cui si dovrebbero aggiungere gli altri oneri previsti nel contratto di governo sulle pensioni e ribaditi ieri da Di Maio: elevare le pensioni basse a 780 euro. Costi rilevanti che, pensioni minime a parte, si potrebbero evitare garantendo comunque una maggiore flessibilità rispetto alle regole attuali solamente accelerando con la transizione al metodo contributivo e garantendo la piena “neutralità attuariale” dei nuovi pensionamenti.
A ritiri anticipati devono corrispondere pensioni più basse e il ricalcolo potrebbe essere fatto «sia in avanti che all’indietro» ha riproposto Boeri, come aveva fatto nel 2015, facendo riferimento alle pensioni vigenti (per oltre l’82% calcolate con il retributivo) al di sopra di una certa soglia di reddito. «Non esistono le pensioni d’oro - ha detto Boeri - ma le pensioni contributive, quelle assistenziali e i privilegi». E su questi ultimi si può intervenire in via equitativa.
Nella lunga relazione il presidente dell’Inps ha anche difeso l’attuale piano nazionale contro la povertà: il Rei andrebbe potenziato, non cancellato, e con 6 miliardi in più potrebbe coprire l’80% delle famiglie povere (contro il 20% attuale). Le risorse si potrebbero trovare da un riordino dell’attuale spesa assistenziale, che destina 5 miliardi alle famiglie più ricche. Altro tema affrontato, e cui è dedicata un’ampia analisi nel rapporto Inps, è la Gig economy, con i suoi 750mila lavoratori coinvolti senza un contratto. Serve il cesello, non l’accetta - ha ammonito Boeri - proponendo al tavolo governativo appena avviato di riflettere su riadattamenti del lavoro a chiamata o delle prestazioni occasionali: «Quali che siano le scelte del legislatore - ha concluso - l’Inps è disponibile a investire ulteriori risorse nel gestire la copertura assicurativa di questi lavoratori, mettendo a frutto la tracciabilità consentita dal lavoro organizzato on line, secondo le modalità già sperimentate con le prestazioni occasionali».
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