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LEGGE DI BILANCIO

Legge di Bilancio, perché sui conti pubblici italiani lo spread è in agguato

Francis Scott Fitzgerald disse: «Datemi un eroe, e vi scriverò una tragedia». I messaggi rassicuranti sulla prossima Legge di Bilancio si susseguono, a partire da quelli del ministro Tria in una lunga intervista pubblicata l’8 agosto sul Sole 24 Ore, ma vengono continuamente contraddetti dai messaggi di altri esponenti della maggioranza. L’auspicio è che gli sforzi del ministro non si trasformino in un inutile gesto eroico e in un dramma per gli italiani. Ma quali sono i punti su cui bisogna riflettere?

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Lo scenario tendenziale del Documento di Economia e Finanza (Def) di aprile mostrava un deficit all’1,6% del Pil per l’anno corrente e allo 0,8% per il prossimo. Tuttavia, in queste proiezioni alcune voci sono escluse e altre si sono nel frattempo modificate. La minore crescita economica nell’anno corrente rispetto alle proiezioni di aprile aumenta il deficit di circa due decimi, che diventano quattro per l’anno prossimo. L'allargamento degli spread di rendimento dei titoli pubblici incide per un decimo quest'anno e due decimi l'anno prossimo. Infine per l'anno prossimo vi sono l'aumento dell'Iva da neutralizzare che vale lo 0,7% e le cosiddette “spese inderogabili”, come le missioni di pace all'estero, che ammontano a circa lo 0,2% di Pil. Le proiezioni aggiornate, comprensive di queste voci, inducono a ritenere che il deficit si attesterà quest'anno attorno all'1,9%.

Nel 2019, la base di partenza, senza nessuna delle misure previste dal contratto di governo, dovrebbe essere al 2,4%. Se poi si aggiunge anche solo un avvio delle misure previste dal contratto, diventa molto probabile che il deficit superi, e non di poco, il 3%. Come potranno questi numeri essere presi da Bruxelles e, soprattutto, da coloro che investono nel debito pubblico italiano i risparmi propri o ottenuti in gestione?

Come si ricorderà, il governo precedente aveva promesso una correzione strutturale di soli tre decimi di punto per il 2018, grazie anche alla “discrezionalità al margine” concessa dalla Commissione europea. Ma già nelle sue previsioni di maggio la Commissione stimava per l'Italia uno sforzo sostanzialmente nullo. In base agli attuali dati vi sarebbe addirittura un lieve peggioramento. Nonostante i ripetuti moniti della Commissione, l'attuale governo ha deciso di non introdurre alcuna mini-manovra in corso d'anno. È quindi molto probabile che nella primavera del 2019, quando saranno disponibili i dati a consuntivo per il 2018, l'Eurogruppo/Ecofin, malgrado l'evidente intento politico di non creare frizioni con il governo Conte, attivi nei confronti dell'Italia una procedura per deficit eccessivo, procedura dalla quale l'Italia era uscita faticosamente nel 2013.

Per il 2019, la distanza fra la realtà del bilancio e ciò che è previsto dalle regole europee sarà molto maggiore. La regola prevede una correzione strutturale dello 0,6% all'anno sino all'obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio, e che per il 2019 si traduce in una correzione nominale di circa un punto percentuale di Pil. Al di là dell'interpretazione letterale della norma e pur in presenza di un moderato rallentamento prospettico dell'economia, la Commissione non potrà non chiedere all'Italia uno sforzo, sia pur piccolo, nella direzione del risanamento. Invece, per tabulas, ossia nei documenti programmatici del governo, la direzione di marcia per il 2019 potrebbe risultare opposta.

Dal maggio scorso, vi è una grande allerta sui mercati finanziari sulla politica di bilancio del nuovo governo, testimoniato non solo dal livello dello spread, ma anche dalla sua volatilità legata alle alternanti dichiarazioni che vengono da esponenti del governo.
In questo quadro, davvero precario, il ministro Tria ha offerto uno schema logico interessante quando ha parlato di congelamento della spesa corrente (fatta salva quella per la sanità, la scuola e la ricerca), un rilancio della spending review e degli investimenti pubblici, e un intervento sulle tax expenditures.

Di più: le parole del ministro riescono a dare un senso anche ai progetti delle forze politiche che sostengono il governo. Il reddito di cittadinanza potrebbe essere visto come il rafforzamento dell'intervento inaugurato con il reddito d'inclusione, per contrastare le situazioni di povertà debilitanti ed emarginanti. Una riduzione prospettica della pressione fiscale, abbinata a una significativa semplificazione, può essere positiva per le prospettive di crescita del Paese, purché sia compatibile con i vincoli di bilancio. Bene dunque il ministro Tria, ma sui conti siamo ancora in mare aperto ed è evidente a tutti che si annuncia burrasca.

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