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Cesare, Trump e il reddito universale di Macron: se l’Italia diventa laboratorio politico del mondo

Benigni nel film «Asterix & Obelix contro Cesare». Dai tempi di quest’ultimo l’Italia è laboratorio politico del mondo
Benigni nel film «Asterix & Obelix contro Cesare». Dai tempi di quest’ultimo l’Italia è laboratorio politico del mondo

Adesso siamo proprio curiosi di vedere come faranno i cugini d’Oltralpe a continuare a chiamarci les italiens, con quel sarcasmo a metà tra censura e commiserazione. Adesso che il loro presidente Emmanuel Macron, autoproclamatosi «difensore d’Europa contro nazionalismo e populismo», ha annunciato l’istituzione di un «reddito universale» entro il 2020. Che, messa così, sembra il reddito di cittadinanza detto un po’ meglio, il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle versione sella francese, populismo di ritorno. Rideranno un po’ meno di noi? Forse. Eppure dovrebbero averlo capito che c’è poco da ridere. Perché l’Italia, soprattutto quando si parla di populismo, è laboratorio politico del mondo. E da buoni duemila anni.

Cesarismi di ieri e di oggi
Per essere precisi, da quando un signore che si chiamava Gaio Giulio Cesare spaccò in due la storia di Roma, prendendo il potere con le sue legioni, instaurando un rapporto esclusivo con il popolo dell’Urbe e mandando di fatto in soffitta l’istituzione repubblicana. Certo, il principato - l’assolutismo vero e proprio - arriverà dopo, col suo figlioccio Ottaviano, ma è Cesare il modello cui guarderanno tutti gli assolutisti successivi, l’ispirazione del potere imperiale romano, del concetto di Sacro romano impero, dei kaiser di Germania e degli zar di Russia. Termini che, tradotti dalle rispettive lingue, significano appunto «cesare». Con la minuscola, nome comune di sovrano assoluto.

Quando Hitler «studiava» da Mussolini
Se non vi va di spingervi così indietro nel tempo, pensate a quello che accadde a Roma nel 1922 e a Berlino nel 1933. Non è un mistero che la marcia su Roma abbia anticipato di 11 anni il cancellierato di Adolf Hitler, che quest’ultimo abbia «studiato» da Benito Mussolini, che il fascismo sia stato d’ispirazione al movimento nazionalsocialista e che anche in quella circostanza, per quanto tragica, il Bel Paese fiutò il vento della storia con un tempismo sorprendente. Purtroppo per il mondo intero.

Trump figlio (stilistico) di Berlusconi
Quando poi nel novembre del 2016 gli Stati Uniti elessero Donald Trump 45esimo presidente della propria storia, qualcuno azzardò ambiziosi accostamenti letterari con Il complotto contro l’America, romanzo fantapolitico pubblicato dal grande Philip Roth 12 anni prima. Qualche altro più sommessamente fece notare che in Italia, 22 anni prima, un tycoon si era fatto presidente del Consiglio, portando con sè dentro il Palazzo un carico di rampantismo anni Ottanta, stile di comunicazione inedito e un bel po’ di conflitti d’interesse. Silvio Berlusconi primo Trump della storia, insomma. Certo, dopo un anno e mezzo di «The Donald» alla Casa Bianca, nessuno ha più dubbi sulle differenze sostanziali che intercorrono tra le politiche dei due, a cominciare da temi tutt’altro che secondari come il libero mercato. Eppure accostarli per una faccenda puramente stilistica, alla vigilia del giuramento di Trump, era molto di più che una suggestione. Come quando Clinton e Blair, alla fine degli anni Novanta, chiacchieravano con Romano Prodi di «Ulivo mondiale».

Se Macron fa una «cover» degli M5S
E così si arriva al «piano anti-povertà» di Macron, pentastellato dell’ultim’ora, tanto da ritrovarsi persino tirato per la giacchetta dal vicepremier con delega allo Sviluppo economico e alle Attività produttive Luigi Di Maio: «Sono contento - scrive su Facebook - che Macron abbia deciso di seguire la linea che il Movimento 5 Stelle ha iniziato a tracciare, annunciando l’istituzione del reddito di cittadinanza anche in Francia. Lui lo farà nel 2020, noi lo metteremo il prossimo mese nella legge di Bilancio». Emmanuel cum lento pede.
Chi l’avrebbe mai detto: Macron che fa una «cover» in francese di un pezzo scritto in Italia, seguendo all’incontrario il percorso dei Dik Dik che italianizzarono L’isola di Wight di Michel Delpech. Ma la politica ai tempi del populismo riserva anche di queste sorprese. E i nostri amati/odiati cugini d’Oltralpe farebbero bene a non ridere più di noi. O forse sì, perché l’Italia è ancora una volta laboratorio politico del mondo e si sa che la situazione politica italiana, dai tempi di Ennio Flaiano, «è grave ma non è seria».

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