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la sofistica gialloverde

Dai vaccini all’Ue: Conte e l’arte di governare con l’«obbligo flessibile»

Parla semplice e fatti capire. Se qualcuno obietta, tu allarga il discorso, spiega che l’orizzonte è più ampio, che è vero tutto, ma pure il contrario di tutto. «Le cose sono in quanto sono, non sono in quanto non sono». È la sofistica, bellezza: magia della lingua parlata che nell’Atene del V secolo a.C. imparavi già da ragazzino. E che sembra la cifra stilistica di Giuseppe Conte e del governo di Lega e Movimento 5 Stelle. Tra vincoli europei che vanno «rispettati» ma anche «superati», l’Ilva da chiudere ma anche da «ambientalizzare» e il tormentone dei vaccini, per i quali vigerà un «obbligo». Che però dovrà essere «flessibile».

Quando c’erano le «convergenze parallele»
Chi ha qualche anno in più nel lessico del governo del cambiamento magari non ci vede tutta questa grande novità. Facile, per lui, andare con la mente alla lingua bifida della Prima Repubblica e alle «convergenze parallele», alle due rette che, secondo Corrado Guzzanti, «non si incontrano mai e, se si incontrano, non si salutano». Chi ha qualche anno in meno, magari, ci rivedrà un pezzo di Massimo D’Alema premier o del suo dioscuro Walter Veltroni che sdoganavano i postcomunisti al governo a colpi di «diciamo» e «ma anche», magnificamente parodiati da Sabina Guzzanti e Maurizio Crozza. Sai la novità: la sofistica abita da millenni la politica, quant’è vero che quest’ultima è tutta un equilibrio sopra il filo dei sondaggi. Ma la sensazione è che, finita l’epoca delle ideologie, tenere il piede in due staffe (con il prezioso ausilio delle parole) sia diventata una pratica ancora più insistita. Soprattutto se a governare c’è una maggioranza fantasiosamente assortita.

Vincoli sì, vincoli no
Pensate al dibattito intorno ai vincoli di bilancio. O meglio al batti e ribatti in area tra il ministro dell’Economia Giovanni Tria e quello al Lavoro e allo Sviluppo economico Luigi Di Maio. Per Tria «è fondamentale il tema delle coperture, e una strategia che attui il programma di governo dentro ai vincoli di finanza pubblica. Su questo presupposto si basano le ipotesi di quadro programmatico che stiamo discutendo con gli altri ministri». Per Di Maio: «La manovra sarà varata nell’ambito dei vincoli di bilancio, ma consapevoli che quei vincoli vanno cambiati». Insomma: vincoli sì o vincoli no? Questi benedetti mercati che devono mai capire?

Obbligo «flessibile», ovvero: il ritorno dell’ossimoro
Altro tema caldissimo è quello dei vaccini. Roba seria, signori. Il Movimento 5 Stelle ha un’anima no vax, non è un mistero, e in questa direzione sembra spingere il ministro della Salute Giulia Grillo quando, contrariamente a chi l’ha preceduta nella carica, annuncia la possibilità di iscrivere i bambini a scuola con una semplice autocertificazione. L’Associazione nazionale presidi si mette di traverso e allora il ministro si produce in una memorabile rabona, colpo a effetto che neanche Rivaldo ai tempi belli: per i vaccini, in un futuro prossimo, ci sarà un «obbligo flessibile». Come può un obbligo essere flessibile? È impossibile, una contraddizione nei termini bella e buona. Anzi: è un ossimoro, figura retorica per intenditori, grande classico della migliore sofistica.

Savona e la passione per il «ma anche»
Quante «rabone» concettuali avremo visto in due mesi e mezzo di governo gialloverde? Pensiamo al ministro per gli Affari europei Paolo Savona, quello che, prima di diventare ministro, voleva uscire dall’euro in un weekend e, proprio per queste affermazioni, tenne in stallo la formazione dell’esecutivo. Diventa ministro e comincia a collezionare «ma anche» alla D’Alema & Veltroni: «L’euro non solo ha aspetti positivi ma ha anche aspetti indispensabili. Non esiste piano B, mai chiesto di uscire dall’euro. Se vuoi un mercato unico devi avere una moneta unica», ma la costruzione della moneta unica «è limitata, una costruzione che va perfezionata».

Ilva? «Piano B ma non ve lo dico»
L’Ilva di Taranto è di nuovo territorio di Di Maio. Da attivista pentastellato la voleva chiudere, poi in campagna elettorale disse che la voleva «ambientalizzata», divenuto inquilino del Mise ha rimesso in discussione la gara che ha portato l’affidamento ad Arcelor Mittal, ha consegnato il caso nelle mani dell’Avvocatura di Stato e promette: «Se la legge mi dice che devo ritirare la gara, abbiamo un piano B ma non ve lo dico». Pathos tra il pubblico, più per quello che il vicepremier non dice che per quello che dice. Altra tecnica sofistica: tu chiamala, se vuoi, aposiopesi. Nel campionario dei sofismi si possono annoverare quindi i repentini cambi di direzione del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli su 18App, bonus per i 18enni prima tolto e poi prorogato. Ma i ragazzi non ci prendano gusto: l’anno prossimo, che sarà dei 500 euro chi lo sa. C’è persino il ministro dell’Interno Matteo Salvini che si lascia scappare che il predecessore Marco Minniti, sui migranti, ha fatto «un lavoro discreto. Non smonteremo nulla di ciò che di positivo è stato realizzato».

Remix gialloverde: 80 euro, flat tax e reddito di cittadinanza
E degli 80 euro che vogliamo dire? Via dalla nuova manovra, ma anche no: «Il bonus può trasformarsi in una riduzione fiscale dentro il piano sulla flat tax». Tutto chiaro, no? D’altronde le priorità del governo, secondo Di Maio, sono «reddito di cittadinanza e flat tax». Peccato che a febbraio, in piena campagna elettorale, quando la flat tax era un’idea dell’allora coalizione di Centrodestra, il candidato premier M5S scrivesse su Facebook: «La flat tax è una bufala. Sarebbe infatti il caso di chiamarla “flop tax”». E che Salvini poco più tardi si dicesse «indisponibile a un reddito di cittadinanza assistenzialista». Bel balletto. Meno male che lo stile di Conte, per sua stessa ammissione, è «sensibilmente diverso da quello dei “politici ballerini”, così sagacemente descritti da Kundera nell’Elogio della lentezza». Fin qui la linea da un passo avanti e due indietro dell’esecutivo pare più ispirata a un altro libro dello scrittore ceco: Lo scherzo.

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