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Castelli-Padoan, quando la moneta cattiva scaccia quella buona

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Mind The Economy

Castelli-Padoan, quando la moneta cattiva scaccia quella buona

La visione della sottosegretaria all'Economia e Finanze, Laura Castelli, che tentava di spiegare all’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, la relazione tra spread e tassi di interesse, utilizzando un grafico che diceva tutt'altro e replicando, dopo la semplice e precisa argomentazione di Padoan, con l'ormai proverbiale «questo lo dice lei», nel mio cervello ha evocato tre immagini: la prima è quella di “NormalMan”, il supereroe nato dalla distorta fantasia di quei geni di Lillo e Greg, ma su cui oggi sorvolerò; la seconda è quella dell'effetto Dunning-Krueger, di cui parleremo certamente in una prossima occasione, e la terza invece è la cosiddetta legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia la moneta buona.

Quando ancora il valore delle monete era dato dal loro contenuto di materiale prezioso, oro e argento, si verificava spesso che nel passare di mano le monete venissero “tosate”. Qualche furbetto le limava per estrarre un po' di materiale prezioso, per poi continuare ad usarle negli scambi al loro valore nominale, riuscendo a mettere da parte in questo modo un po' d'oro e d'argento. Erano in tanti a farlo e tutti lo sapevano, per questo col passare del tempo accadeva che negli scambi venissero usate più spesso le monete “cattive” mentre quelle “buone” venivano conservate gelosamente nei forzieri.

L’esempio pratico del formaggio
La legge di Gresham è nome antico di un concetto moderno, quello di “selezione avversa”, studiato a fondo negli anni settanta dal premio Nobel George Akerlof. Quando in un mercato l'informazione è distribuita in maniera asimmetrica, per esempio, non sappiamo se una moneta è stata tosata oppure no, o se il tocco di formaggio che stiamo per acquistare è di buona qualità o assolutamente scadente, allora quel mercato è a rischio di fallimento. Non potendo valutare in maniera precisa la qualità del bene prima di averlo acquistato, infatti, sarò disposto a pagare al massimo un prezzo pari alla qualità media attesa dei formaggi presenti sul mercato. Quel prezzo però, alla fine, si rivelerà adeguato per un formaggio di qualità media o bassa, ma insufficiente per uno di qualità alta, il cui produttore, quindi, deciderà di non vendere.

A quel punto la qualità media dei formaggi posti in vendita sarà ancora più bassa e quindi il prezzo che sarò disposto a pagare scenderà ulteriormente, aggravando, così, ancora di più la situazione, fino a quando saremo certi di trovare sul mercato solo formaggi di bassa qualità. Questa è la selezione avversa: un fenomeno che si verifica spessissimo, in ogni dove, ogni qual volta l'informazione circa la qualità di un bene o di un servizio è nota a qualcuno, ma non a tutti.

Se non vogliamo che questi mercati implodano e si blocchino, occorre mettere in atto contromisure: le certificazioni DOC, DOP e IGP, per esempio, gli ordini professionali, le garanzie, la tracciabilità degli alimenti, i brand, i titoli di studio, sono solo alcuni degli innumerevoli meccanismi che quotidianamente utilizziamo per ridurre le asimmetrie informative e mitigare le inefficienze che queste possono determinare.

La politica e il danno della “selezione avversa”
Ma che c'entra la selezione avversa con la sottosegretaria Castelli? Con lei personalmente, niente, ma con la classe politica di cui lei è emblematica rappresentante, invece molto. La svalutazione radicale della figura del “politico”, dell'impegno politico in sé, che da Tangentopoli in poi i movimenti del “Roma ladrona”, del “siete tutti ladri” e delle rottamazioni facili, hanno alimentato, amplificato e cavalcato, hanno determinato una situazione per la quale quando oggi una persona perbene, capace e competente, dovesse decidere di impegnarsi in politica, andrebbe incontro a costi altissimi: costi reputazionali, sospetti di opportunismo, secondi fini e strumentalità. Ne verrebbe immediatamente contestata l'onestà intellettuale e la limpidezza delle intenzioni, la sua intera storia personale. Alcuni, nonostante tutto, stanno meritoriamente al gioco e pagano ogni giorno pegno; altri, molti altri, invece, rinunciano, declinando gentilmente ma fermamente inviti a candidature e cariche. Perché se uno ha un lavoro soddisfacente, possibilità di incontro e di dialogo collaterali, occasioni di realizzazione individuale e collettive alternative, il costo di un impegno politico può diventare, oggi, insopportabile.

Quella che dovrebbe essere considerata una scelta di altissimo livello morale e civile - Paolo VI definiva la politica come “la più alta forma di carità” - ma che oggi, dopo anni di “vaffa day” ti porta a perdere immediatamente la reputazione a causa di un clima ostile a prescindere, è diventata per molti impensabile. La radice della selezione avversa sta qui; perché gli spazi lasciati liberi da chi avrebbe molto da dare alle istituzioni, ma se ne allontana, non rimangono vuoti; vengono occupati da chi ha costi-opportunità più bassi, da chi dalla politica ha molto da prendere e non sempre molto da dare. Da chi vede in un'elezione un'occasione di rivincita e riscatto sociale e non piuttosto un servizio o una restituzione alla comunità. La svalutazione e la messa in ridicolo dell'impegno politico, della classe politica tutta, che per anni i partiti ora al governo hanno fomentato e cavalcato, rischia di allontanare coloro che potrebbero contribuire con competenza e dedizione al riscatto di un paese avvilito e incattivito e lasciare spazio ad altri, non sempre i più adatti.

Gli effetti saranno duraturi sulla qualità della nostra democrazia, del nostro dibattito pubblico, sull'affidabilità delle nostre istituzioni. Dovremmo iniziare a prendere contromisure efficaci, smettere di accontentarci della mediocrazia imperante, esigere anche dai nostri politici, così come facciamo per esempio con i calciatori della nostra squadra del cuore, l'eccellenza. Non dovremmo accontentarci di chi replica con una «questo lo dice lei»; dovremmo esigere più serietà, capacità, responsabilità e magari anche un po' di umiltà; o chiediamo troppo?

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