Tra le prediche Ocse che il Governo considera inutili (e non certo nello spirito dell’understatement di Einaudi) ce n’è una che dovrebbe invece essere accolta con ben maggiore consapevolezza. Quel calo del Pil pro capite del 2,5% in dieci anni (2008-2018) che vede l’Italia unico Paese in peggioramento tra le nazioni ad alto progresso economico. Anche la martoriata Grecia ha fatto meglio di noi, con una crescita seppur minima.
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Manca la spinta. Non solo ai consumi. Agli investimenti. E le azioni di politica economica finora intraprese in ossequio ai dettati di una campagna elettorale demagogica hanno impedito di guardare al Paese con gli occhiali giusti: quelli dello sviluppo economico e non dell’assistenza pubblica.
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E spesso anche i numeri del Governo non contribuiscono a chiarire il quadro: nella nota di aggiornamento al Def - ultimo documento utile di finanza pubblica in attesa del prossimo Documento di economia e finanza, base per la prossima legge di bilancio - si legge che la previsione per gli investimenti fissi lordi è stata corretta da un 4,1 a un più generoso 4,4% nel 2019.
Non sembra propriamente una presa d’atto della gelata che avvolge la nostra economia: produzione industriale stagnante (se non in calo), aspettative sugli ordini in flessione, export in tenuta ma con prospettive di decrescita, aumento della disoccupazione e del lavoro precario. Su tutto pesano lacontrazione nella vendita di auto su cui, tra l’altro, anche una confusa politica di incentivazione ha avuto effetto-zero, e la quasi scomparsa del settore dell’edilizia falcidiato dalla mancanza di investimenti in patria e dalle turbolenze aumentate sul mercato internazionale. Per non parlare della continua perdita di fiducia soprattutto delle imprese che, notoriamente, senza fiducia non investono. E che, novità dell’ultima fase, sono di nuovo bersaglio di una stretta nella concessione di credito da parte delle banche.
Nonostante queste evidenze, ormai patrimonio comune tra gli osservatori oltre che tra i tecnici e gli analisti economici, nella Nota di aggiornamento al Def si immagina un +4% degli investimenti in macchinari, un +6,5% in mezzi di trasporto e un +2,8% nelle costruzioni. È l’ottimismo della volontà dal momento che solo un pentimento tardivo fa dire al Governo che sarà necessario reintrodurre il super-ammortamento per chi investa in macchinari 4.0, dato che l’averlo tolto ha gelato la spesa in innovazione. È sempre la fede nel futuro radioso a far lievitare così tanto gli investimenti in mezzi di trasporto nel momento in cui l’automotive conosce una fase nerissima. Per tacere della situazione dell’edilizia (che può fare conto solo su una ripresa di qualche appalto degli enti locali).
Insomma, il quadro di partenza si sta dimostrando fallace. E se sono fasulle le ipotesi con cui si creano le tesi finali è chiaro che la politica economica va riscritta. Reddito di cittadinanza e quota 100 hanno distratto risorse ingenti che avrebbero potuto creare più impatto sugli investimenti. Ed è quello che l’Ocse ci ha ricordato ieri, buon ultimo dopo Fmi, Banca d’Italia, Csc di Confindustria, Standard &Poor’s, Fitch e molti altri. Il rischio è la recessione (ormai anche il premier Conte parla di crescita zero) con tutte le difficoltà che ciò implica nella revisione delle politiche di bilancio.
E a poco serve sbandierare quei 150 miliardi in dieci anni (di cui 118 già disponibili) per gli investimenti pubblici come toccasana per mettere il turbo alla crescita: è da tre anni che l’entità degli investimenti annunciata è sempre superiore (e di molto) a quella realizzata a consuntivo. Quei denari esistono ma non sono mobilitabili per le mille difficoltà nella gestione degli appalti e per la carenza progettuale cronica.
In attesa di conoscere i prossimi passi dobbiamo accontentarci di un altro dato scritto con la fede più che con l’analisi: i 18 miliardi di privatizzazioni che dovrebbero aiutarci ad abbattere il debito. Obiettivo considerato irrealistico (quando non del tutto velleitario) da più parti. E un dato invece ci riporta alla realtà: nell’anniversario triste del terremoto all’Aquila, dove la città è ancora con le macerie a drammatico memento della inefficienza italiana, e a 9 mesi dal crollo del Ponte Morandi a Genova ,il ministero delle Infrastrutture annuncia con enfasi un piano da 1,5 miliardi per la manutenzione di ponti, viadotti e gallerie e il ministero dell’Ambiente un altrettanto enfatico piano di manutenzione del territorio da 50 milioni (900 in tre anni).
Peccato che in un anno di spread intorno a 250 punti (considerato comunque contenuto rispetto ai rischi reali) l’Italia quel presunto tesoretto lo ha già consumato per pagare maggiori oneri dovuti agli interessi sul debito pubblico.
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