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Autonomia differenziata, nelle intese spunta la clausola salva-conti

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verso il cdm

Autonomia differenziata, nelle intese spunta la clausola salva-conti

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Le intese sull’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna dovranno funzionare «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». E sembra destinata a cadere la fase transitoria che in attesa dei fabbisogni standard, cioè del «prezzo giusto» delle funzioni fondamentali promesso da anni ma mai definito, avrebbe garantito alle tre Regioni un finanziamento almeno pari alla media nazionale della spesa statale pro capite: una clausola che solo per l’istruzione avrebbe potuto spostare un miliardo di euro all’anno a Lombardia e Veneto.

Al ministero dell’Economia si è tornati a lavorare sulle bozze delle intese con le tre Regioni del Nord in prima fila nelle richieste di autonomia. Mentre al ministero degli Affari regionali, dove nei giorni scorsi ha preso corpo la trattativa con la Campania, si allunga la fila dei richiedenti. Ma la partita è finita nell’altalena del dibattito incendiario tutto interno alla maggioranza: ha accelerato tra gennaio e febbraio, spinta da Matteo Salvini, ha frenato in primavera, per non urtare troppo Luigi Di Maio, ed è ripartita adesso, sempre su spinta del vicepremier leghista.

Ora è attesa sui tavoli del Consiglio dei ministri di mercoledì, in un’agenda che però è ingombrata da un caso Siri sempre più intricato. Sempre mercoledì, poco prima della riunione di governo, il premier Giuseppe Conte dovrebbe fare il punto con Erika Stefani, la ministra degli Affari regionali che ha seguito fin qui il dossier. Dossier che oltre a incrociare la fase più calda della battaglia sul sottosegretario ai Trasporti si è intricato su una doppia questione: i soldi e le funzioni da trasferire.

Le ricadute finanziarie dominano il dibattito soprattutto per le richieste di Lombardia e Veneto, che insieme alle competenze vogliono regionalizzare una parte di personale pubblico a partire dagli insegnanti (non così l’Emilia Romagna, che si concentra soprattutto su funzioni di programmazione). In una prima fase, anche questa forma di autonomia sarebbe “a costo zero” per definizione, perché insieme a competenze e personale lo Stato girerebbe un assegno della stessa cifra oggi spesa per le stesse funzioni. Tanta neutralità, secondo il progetto di febbraio, finirebbe però dopo un anno, quando andrebbe appunto garantito alla Regione un finanziamento pari almeno alla spesa media pro capite italiana. E siccome in molti settori, a partire dall’istruzione che rappresenta quello più ricco, la spesa statale in Lombardia e Veneto è inferiore alla media nazionale, questo meccanismo sposterebbe un miliardo al Nord. Ma il passaggio è appunto destinato a cadere, in un testo che invece contemplerebbe l’assenza di costi aggiuntivi per la finanza pubblica.

A ben guardare, però, le questioni di soldi coprono i nodi più intricati, che sono politici. Un’infinita trattativa si è incagliata soprattutto su cinque temi che i ministeri non vogliono cedere. E si tratta sempre di ministeri Cinque Stelle. Il ministero delle Infrastrutture ha risposto un «no» secco all’ipotesi di regionalizzare le concessioni di strade, autostrade e ferrovie. Quello dell’Ambiente non intende cedere alle Regioni le regole sulle bonifiche e soprattutto sulle valutazioni decisive (Via e Vas) per le autorizzazioni degli impianti industriali e le trasformazioni edilizie. Lo stesso è accaduto con la Salute su ticket e tariffe, con i Beni culturali sulle Soprintendenze e con il Lavoro sugli ammortizzatori sociali, collegati a doppio filo al reddito di cittadinanza che Di Maio vuole gestire in prima persona.

Ma è tutta l’impalcatura dell’autonomia a non trovare un minimo comun denominatore nella convivenza sempre più difficile fra Lega e Cinque Stelle. La stessa ipotesi di regionalizzare i ruoli degli insegnanti, che assorbono quasi tutta la questione delle risorse, traballa vistosamente. E sul ruolo del Parlamento una strada pre-definita è tutta da trovare. Prima delle europee, costruire la visione condivisa che è mancata finora sembra impossibile. Dopo, si vedrà.

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