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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 10:30.

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Quando si parla di cultura è rituale la specificazione dell'oggetto, che varia a seconda di gusti e interessi.

La tematica culturale include tre settori: produzione per il consumo culturale (radio-tv, giornali, libri, cinema, festival, musei e siti ad alta attrazione, software); produzione per la promozione culturale (archivi e biblioteche, musei e siti - la maggior parte - a bassa attrattività, spettacolo dal vivo); produzione culturale per lo sviluppo (scuola, università, ricerca).

Questi settori si distinguono per il diverso grado di dipendenza dai fondi pubblici: pressoché integrale per scuola e università; via via decrescente (ma non inesistente) man mano che ci si addentra nel campo del consumo culturale di mercato.

Questo sistema è in grave difficoltà. Chi produce per il mercato deve fronteggiare il collasso di consumi privati, pubblicità, domanda di grandi aziende e enti pubblici. Ma soffrono moltissimo, per mancanza di risorse pubbliche, anche la promozione culturale, formazione e ricerca.
Dobbiamo sforzarci di trovare strade nuove. Frequente è l'appello all'intervento dei privati e il riferimento a modelli anglosassoni. Che propongo di ridimensionare nella considerazione dei nostri casi. Soprattutto negli Usa, vige un modello in cui la cultura è campo devoluto all'iniziativa privata che si avvale di una fiscalità leggera e di ulteriori incentivi.

Nel caso italiano, l'approccio è diverso. Con la parziale eccezione della produzione per il consumo culturale, il codice genetico politico-amministrativo vede un ruolo protagonistico della mano pubblica che tutto vigila, finanzia con titolarità pressoché assoluta. Questo è il frutto di un percorso che ha incrociato lo statalismo risorgimentale di importazione napoleonica e l'esperienza della pervasività culturale del regime fascista. Un percorso che è poi approdato nella più nobile formulazione della Costituzione. Ma che oggi ha il fiato corto perché la disponibilità di risorse pubbliche è via via decrescente.

Sul versante di scuola e Università, credo che l'offerta pubblica debba essere sostenuta senza esitazioni: occorrono molti cambiamenti; prezioso è l'apporto del servizio pubblico reso per mano privata; ma nella sostanza il sistema deve rimanere un sistema pubblico. È questione di promozione dei diritti di cittadinanza.

Sul versante di beni culturali, ricerca e attività culturali, sono di diverso avviso. Ritengo essenziale il ruolo di vigilanza e di indirizzo di amministrazioni centrali e periferiche, ma trovo esiziale che l'intervento privato non venga incoraggiato.

Il punto di incontro delle ragioni dell'uno e dell'altro è facilmente individuabile: è quello della fiscalità. Senza disponibilità pubbliche, che i privati vengano invitati a investire in cultura con la totale deducibilità fiscale del loro intervento. Per lungo tempo, come presidente della commissione cultura di Confindustria, mi sono applicato, con il supporto della consulta per i beni culturali dell'Unione industriale di Torino, al miglioramento della complicata disciplina delle "erogazioni liberali". Il pacchetto di proposte del tempo furono accolte al Mibac, ma si fermarono sulla arcigna soglia del Mef.

Ora serve un approccio più radicale. Singoli cittadini, imprese, fondazioni bancarie e d'impresa non possono sostituire l'intervento pubblico ma devono integrarlo. Molti musei, siti archeologici, edifici di pregio, biblioteche rischiano di deperire nell'abbandono. La stagione delle fondazioni liriche a piè di lista è conclusa. Aprire la porta all'intervento privato non è un cedimento è un'opportunità. E dove è corretto ipotizzare che la deducibilità integrale non è corretta perché intervengono fattori di attività economica seguiamo l'esempio del tax credit applicato al settore cinematografico o del credito d'imposta per la ricerca industriale: esperienze che ci insegnano come l'incentivo fiscale possa concretamente generare a valle un gettito a favore delle casse dello Stato.

L'articolo è uno stralcio dell'intervento che Alessandro Laterza terrà agli Stati Generali della cultura

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