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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2014 alle ore 10:29.

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Mi irritano i denigratori di best-seller. Forse perché dietro le quinte del disprezzo avverto gli squittii strozzati del risentimento. La verità è che chiunque abbia a che fare con i libri è ossessionato dai best-seller (soprattutto chi li denigra): lo sono gli editori e i librai (molto spesso ne va della loro sopravvivenza), i giornalisti (su cui i best-seller esercitano un fascino sinistro), i lettori (anche i più raffinati e selettivi), e gli scrittori naturalmente (in particolar modo quelli che non lo danno a vedere). Ogni tanto il denigratore di best-seller ci ricorda che è assurdo giudicare un libro in virtù delle copie vendute. Affermazione ineccepibile, che troppo spesso viene usata capziosamente per celebrare libri difficili, oscuri, impopolari, pubblicati da case editrici tanto minuscole quanto clandestine. Un altro vezzo del denigratore di best-seller è la nostalgia. Adora guardarsi indietro, celebrare epoche auree in cui la gente acquistava e leggeva solo Platone e Cervantes. La verità è che la nostalgia per un'epoca migliore di quella in cui si vive risale alla scoperta del fuoco (immagino il cavernicolo che rimpiange i bei tempi in cui si gustavano solo succulente tartare e sashimi freschissimo). Non c'è scrittore che non abbia creduto di essere capitato nel periodo più infelice della storia umana. Del resto, i best-seller sono sempre esistiti, conquistandosi ogni volta sul campo un bel numero di detrattori.

Con questo non voglio dire che scorrere le classifiche di libri più venduti non dia una vertigine di follia e di futilità. A scoraggiarti bastano i titoli, concepiti per sedurre il demente e l'analfabeta: Quando Mr Darcy fece colazione da Tiffany, I segreti della biblioteca maledetta, Tramonto sull'Hudson, Candy è tornato, La giornata tipo dell'uomo di Neanderthal, Incazzatevi!, Perché i palestinesi mi stanno simpatici anche se sono ebreo... Per qualsiasi individuo di buonsenso risulta incomprensibile che qualcuno possa avvicinare libri dai titoli così assurdi, ma ancor più che qualcuno possa stamparli, distribuirli e smerciarli a cuor leggero. Eppure – a dispetto di tutta questa immondizia in circolazione che, a quanto pare, tira parecchio – mi ostino a credere che non ci sia destino più fausto per un libro che essere letto e amato da molte persone, se possibile nel corso di decenni (se non proprio di secoli). Di più: la vera sfida per lo scrittore è realizzare un capolavoro che tutti vogliono leggere. Ammesso che abbia un senso ciò che sto per dire, trovo molto più complicato (da un punto di vista tecnico) scrivere Anna Karenina che L'uomo senza qualità. E Anna Karenina (il miglior romanzo mai scritto) è in ottima compagnia: Le relazioni pericolose, Orgoglio e pregiudizio, David Copperfield, Illusioni perdute, Madame Bovary, Lolita, Il giovane Holden... Ecco i best-seller di fronte ai quali persino il denigratore di best-seller è costretto ad abbassare gli occhi. Libri che gli specialisti non smettono di interrogare (per lo più invano) e che i lettori si ostinano a leggere. Libri che sembrano esistere da sempre. Libri che rivelano una stupefacente naturalezza sebbene siano il frutto di un lavoro disperante. Libri la cui furbizia consiste nell'eludere qualsiasi furbizia. Del resto, se li guardi troppo da vicino, se li analizzi con troppa cura, ti accorgi che non sono poi così perfetti. Anzi, che sono pieni di sciocchezze, di personaggi incongrui e di situazioni implausibili. Più che romanzi realistici sembrano fiabe. Che non sia proprio questa natura fiabesca a renderli eterni?

Non me la sento di affermare che Il cardellino di Donna Tartt possa entrare in questo club esclusivo. Occorre aspettare. È uscito da troppo poco tempo. In un certo senso è un libro che deve parecchio alla letteratura. Inoltre, oggigiorno la narrativa ha un'influenza troppo modesta sulla pubblica opinione (lo dico senza alcuna indignazione) per consentire a chicchessia di salutare a cuor leggero la comparsa di un classico sulla scena letteraria internazionale. E tuttavia c'è in questo libro qualcosa di miracoloso. È così raro che un libro acquistato da milioni di persone risulti a una prima lettura (ma anche alla quindicesima) così convincente, da ogni punto di vista. Ecco perché, sebbene lo abbia letto qualche mese fa, sento l'esigenza di buttare giù alcune note per spiegare a me stesso cosa rende Il cardellino di Donna Tartt il libro che molti di noi avrebbero voluto scrivere.

Quello che segue è un promemoria che serve a ricordarmi come si scrive un libro nel Ventunesimo secolo.

a) Ritengo che il tempo impiegato per concepirlo e darlo alle stampe (dieci anni) su cui tanto si è insistito, sia un ottimo punto di partenza. E non tanto perché un tempo di composizione così lungo sia di per sé garanzia di successo (in fondo La certosa di Parma fu scritto in cinquantadue giorni, La metamorfosi in una sola notte). Ma perché in dieci anni un uomo cambia. E tale cambiamento può avere effetti paradossali (e non sempre benefici) su un libro e su chi lo scrive. Donna Tartt ha gestito questo tempo magistralmente, lo ha messo a frutto come certi serafici coltivatori. Leggendo Il cardellino il lettore avverte il passaggio da una stagione all'altra. E questo è il miglior complimento che si possa fare a un narratore. D'altronde, il protagonista di un romanzo è sempre il tempo. Donna Tartt usa qualsiasi stratagemma per evocarlo: disastri, l'attenzione morbosa riservata agli elementi atmosferici, i cambi repentini di location cui è costretto il protagonista.

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