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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2014 alle ore 07:55.

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«Arianna è una scrittrice che vive in un esilio volontario a Santa Marinella, sul litorale laziale, dopo che il marito, uomo politico più importante di lei, l'ha lasciata. Ma un giornalista bussa alla sua porta…». Due dita di plot di Nessuno mi pettina bene come il vento e siamo già lì, sprofondati nell'universo del Film Mibac. Lo chiameremo così.
Il Film Mibac è il film «d'interesse culturale» prodotto, sostenuto, finanziato e detassato dallo Stato (Ministero dei Beni Culturali, Direzione Generale per il Cinema), in accordo con RaiCinema e varie Film Commission regionali a seguire, a seconda dei casi. Che vuol dire quasi tutto il cinema italiano, tolto Checco Zalone e poco altro. Sul destino dei film di Zalone decide il pubblico. Ma Nessuno mi pettina bene come il vento è un'«opera riconosciuta di interesse culturale», liberata dalla schiavitù del mercato e dai gusti orrendi del botteghino. Letteratura, abbandono, esilio, politica, giornalismo, litorale laziale. C'è tutto quello che serve per fare un Film Mibac. Così sentenzia una commissione statale che gli assegna in automatico un finanziamento. Scarso, secondo il regista del film Peter Del Monte: «I miei soggetti nascono molto cupi. Posso pensare di trovare un finanziamento solo dallo Stato, ma questa volta mi hanno dato solo duecentomila euro». Perché a volte lo Stato è insensibile alla cupezza di Santa Marinella. Perché non è mica facile capire quando un film è un'opera «d'interesse culturale». Provateci voi.

Di sicuro, non è che coi soldi pubblici possiamo produrre L'uomo ragno. The Wolf of Wall Street, manco a parlarne. E se Ermanno Olmi vuole fare un film con gli zombie, la commissione deve rintracciare nel progetto almeno una metafora trasparente della cassa integrazione, oppure non se ne fa nulla. Come capita in ogni ecosistema, alla fine si trova un equilibrio. C'è «interesse culturale» se c'è disinteresse popolare. Perché il Film Mibac è una visione del mondo. Ha il suo catalogo di temi, figure, motivi. Più elastico di un universo veltronico, è chiamato a tenere assieme i pezzi dell'immaginario di un ceto medio di sinistra che delega allo Stato la definizione della cultura nella sua accezione più distintiva, ricattatoria, sofferente. Che preferibilmente va nei cinema del centro, ama l'etnico, diffida dei multiplex, non mangia i popcorn e al tempo libero chiede contenuti, spessore, qualità, impegno. Se va a vedere una commedia non è mai «solo una commedia».

Il Film Mibac abbraccia la grande stagione del cinema d'autore e l'impulso pedagogico della Rai, l'anticapitalismo e il product placement del «decreto Urbani», la Puglia di Vendola, la Roma di Sorrentino, il Pigneto di Pasolini, il maestro Manzi, Fellini, gli immigrati, la commedia all'italiana, lo smaltimento dei rifiuti, il neorealismo contro tutte le mafie che uccidono solo d'estate in un piano-sequenza della Rohrwacher. E alla fine vengono fuori i temi della maturità.

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