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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2014 alle ore 10:19.

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Nello scalone nobile, invece, al primo piano, ci sta l'Authority per il diritto allo Sciopero, che valuta quali scioperi autorizzare e quali no. Mentre si va su, la via d'Aracoeli che costeggia il palazzo è bloccata da un corteo. «Ma che l'abbiamo autorizzato, questo?», dice un funzionario a un altro. Non si sa. Di sicuro qui l'eredità Dc è molto rispettata, il nostro accompagnatore molto omaggiato; lui con alta scuola democristiana va a salutare tutti, fino all'ultimo usciere, e i più accorti lo riconoscono e parte subito tutto un valzer di «onorevole, sono di Avellino, le porto i saluti di mio cugino X, se lo ricorda?» e Bianco, certamente fingendo con stile inarrivabile moro e doroteo, risponde affabile: «Ma certo, un'ottima famiglia», e poi veniamo ricevuti dal presidente dell'Authority, gentilissimo, nel suo studio tutto mobili d'acciaio e pelle nera Le Corbusier, con tulipani freschi in un vaso. Grande schermo piatto sul canale del Senato, e c'è tale senatrice Serenella Fucksia dei Cinquestelle che parla.

Forse facendo apposta, per ampliare il gap spazio-temporale, mentre le immagini di Fucksia scorrono, seduto sulla pelle nera, Bianco dà invece una piccola lezione di architettura istituzionale e costituzionale, en passant, ricordando una sua proposta di riforma del bicameralismo che prevedeva sedute comuni – come per l'elezione del Presidente della Repubblica – per l'approvazione delle leggi. Poi spiega che l'ufficio in cui ci troviamo – la sala Blu – era quello dei segretari particolari dei leader; c'è il balcone che dà su piazza del Gesù; ci stanno le bandiere, italiana e europea; ci stava Mariano Rumor quando era ancora assistente di Fanfani. Sul soffitto, affreschi settecenteschi riproducono il ciclo del giudizio di Paride, mentre decorazioni dei quattro continenti – Africa Asia Europa America – sono ottocentesche, volute dal principe Virginio Cenci, dandy e musicologo. «I telefoni funzionavano male – conclude Bianco – così per chiamare Rumor, Fanfani usava un campanellino».
Passiamo alla sala accanto, la Sala avorio angolare, con gran leoni di gesso ottocenteschi come quelli dei Florio nella chiesa madre di Favignana, quasi filologici a loro insaputa: al terzo piano del palazzo, l'unico Dc free, ci stava infatti Domenico Modugno, che qui nel 1963 ha composto U Pisci Spada, ballata verghiana sulla caccia al maschio del pesce spada (la femmina è stata catturata durante la mattanza, e incita il maschio a fuggire, ma il pesce si lascia catturare per morire insieme a lei). Sopra U pisci spada, sotto la Balena bianca, vabbè.

Dalla finestra si vede palazzo Altieri, di fronte, e la casa all'ultimo piano d'Anna Magnani, forse antico flirt di Andreotti, che come ricorda Gerardo Bianco «qui a palazzo non aveva uffici, perché nella Dc non ha mai voluto incarichi ufficiali». In questa stanza poi «ci stava Martinazzoli, era sempre piena di fumo di sigaretta, non si vedeva niente». Viene confermato che i lavori per riportare l'avorio originario dei decori siano stati assai faticosi, forse proprio a causa del tabagismo del manzoniano rottamatore Dc.
Si passa velocemente da una sala rossa, altri affreschi settecenteschi col ciclo di Paride; anche qui «particolarmente impegnativa è stata la pulitura dei residui della combustione di vecchi cavi elettrici a cordoncino», scrive l'architetto capo Fabrizio Mercorelli nel volume edito da Campisano che racconta i restauri di palazzo. In pratica, gli squatter Dc avevano piantato neon e lampadari e prese negli affreschi. Sventrata e smandrappata anche la Sala delle Cariatidi, o meglio il Salone delle Feste o Camerone; «qui stava il famoso parlamentino Dc», annuncia Bianco, mentre altri funzionari arrivano a omaggiarlo, citando amici o parenti in Consiglio di Stato, Corte dei Conti, e altre antiche e gloriose magistrature (qualcuno gli rappresenta anche delle doléances. Il primo ministro vuole accorpare le authority, qua si teme di finire in qualche casermone col vetrocemento, sono abituati bene sotto le volte settecentesche. Bianco rassicura. Poi va a salutare una segretaria: si vede che tutti lo vorrebbero votare, ma non si può più). Il pavimento originale in seminato veneziano del Settecento è stato ripristinato, tolto il palchettone e via la tappezzeria che arrivava su fino alle decorazioni con i dodici torsi palestrati tipo Abercrombie sotto lo stemmone Cenci con le sei lune crescenti in campo rosso e argento e la corona principesca. Qui si teneva la direzione nazionale del partito, qui si son fatti e disfatti governi. Qui il parlamentino ligneo è stato buttato in discarica dopo i lavori di restauro; parlamentino imitato da quello berlusconiano a pochi metri, a palazzo Grazioli. Accanto, una sala ovale vezzosa con porte segrete. Bianco rovina subito la poesia; «ci stava il bivacco dei questuanti, con poltrone sfondate». Corridoi; poi lo studio di Virginio Cenci, con il soffitto a volta decorato dal Vasella, artista in voga nella roma umbertina, e tre porte di noce anch'esse ottocentesche. Oggi è lo studio del capo di gabinetto dell'Authority, era quello di Giuseppe Dossetti; poi ancora di Franco Marini. Tra i corridoi, però, maestranze raccontano i ritrovamenti più misterici nel palazzo durante i restauri: decine di tessere Dc tra i controsoffitti; venticinque casseforti murate risalenti all'epoca forse delle correnti o forse della guerra successiva al 1993. E soprattutto, un cavo segreto, un cavo telefonico che collegava un «centralone» nascosto in una loggia, ai vicini di Botteghe Oscure. Una specie di linea rossa tra Dc e Pci in epoche di guerre fredde e telefonia fissa. Anche quella finita in discarica. Ma dove sarà invece l'ascensore storico? È giù, in cantina, scendiamo, è accatastato, con le sue antine, la sua panchetta, in un angolo, sotto affreschi rustici di bottiglie e grappoli d'uva (durante la guerra qui c'era una taverna). Nel cortile c'è anche un albero gigante. «Era il fico più alto del mondo», sospira Bianco. Però da qualche anno non è più al primo posto del Guinness. E poi, definitivo, congedandosi: «Ma era un fico sterile: non ha mai fatto frutti, lo sapevano tutti».

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