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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2014 alle ore 11:14.

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«Ho dovuto chiudere, Totò. Qui non veniva più nessuno. La crisi, la televisione, le videocassette… Ormai il cinematografo è solo un sogno». Alla seconda ora e venti di Nuovo cinema Paradiso, davanti alla sala in rovina, l'insegna arrugginita, i calcinacci e le tazze del cesso all'ingresso, un Enzo Cannavale incanutito con lo zucchero filato sulle sopracciglia ci sferra il colpo di grazia: «Adesso l'ha acquistato il Comune per farci un grande parcheggio pubblico. Sabato lo demoliscono». Ma no, non può essere. Ci sarà una soluzione. Macché.

Nel crescendo straziante del finale, dopo averci morriconizzato a dovere, Tornatore si giocava il parcheggio pubblico come sineddoche della morte del cinema. Ci commosse lasciandoci intravedere una marea di Fiat Uno e Regata lì dove un tempo si andava in estasi per le cosce di Silvana Mangano a mollo nella risaia. Oggi non se la caverebbe così.
Oggi dovrebbe metterci l'indignazione, il conflitto. Tanto per cominciare, il parcheggio sarebbe privato; ancora meglio sale bingo, appartamenti di lusso, centri commerciali, multiplex assetati di denaro, per non parlare dei famigerati supermercati. Nel finale di Nuovo cinema Paradiso II, Leo Gullotta e Cannavale con la kefiah guidano l'occupazione, Pupella Maggio distribuisce i cannoli con la ricotta biologica agli occupanti e Totò, regista ricco e famoso, restituisce l'Oscar, si fa crescere la barba, torna a Giancaldo e va a presentare la rassegna su Pasolini, ingresso a sottoscrizione.

Quando uscì al cinema, prima della sfilza di premi presi un po' ovunque, Nuovo cinema Paradiso faticò a trovare i suoi spettatori. In realtà, arrivava con un tempismo perfetto. Nel 1989 eravamo alla fine del decennio che aveva decimato le sale italiane. Ormai chiudevano anche quelle che negli anni Settanta si erano riprese coi film a luci rosse. Maledette videocassette. Le stesse che nel frattempo finivano in allegato con L'Unità come capolavori del cinema distribuiti a prezzi modici, risollevando (per un po') le casse del giornale.
Nel 1994, l'artefice del compromesso storico tra grande cinema e videocassette infila il film di Tornatore nel suo Dizionario sentimentale dei film (aka Certi piccoli amori). «Nuovo cinema Paradiso – scrive Veltroni – strazia gli animi di chi sente il peso affascinante della vita che gli è corsa dietro, di chi vorrebbe voltarsi, ritrovare, anche solo un momento, le cose, le persone, i colori, gli odori. E, per farlo, usa il cinema. Come mezzo, ma anche come luogo dei sogni, ed esaltando la sua fisicità; una pellicola che brucia, una sala che si distrugge». Le sale sparivano, e coi dinosauri di Jurassic Park iniziava a sparire pure la pellicola. Bisognava fare qualcosa. Usare il cinema per una «corsa all'indietro» rendeva bene l'idea di quello che ci aspettava.

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