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La condanna degli infiniti attimi presenti

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La condanna degli infiniti attimi presenti

Byung-Chul Han è nato a Seul e insegna alla Universität der Künste di Berlino. E' considerato uno dei più interessanti filosofi contemporanei. Sue opere sono state tradotte in italiano. Per esempio “La società della stanchezza”, dalle edizioni Nottetempo; o, tra le altre, “Razionalità digitale. La fine dell'agire comunicativo”, da goWare.

La casa editrice dell'Università Cattolica, Vita e Pensiero, pubblica in questi giorni un suo libro degno di attenzione: “Il profumo del tempo. L'arte di indugiare sulle cose” (pp. 136, euro 15). In esso il filosofo coreano che scrive in tedesco ricorda che in quest'epoca di affanni il tempo è stato atomizzato. O meglio, trasformato in infiniti “attimi presenti” che si elidono l'un l'altro, senza che si possano più avere pause o intervalli, soglie, passaggi.

Ci accorgiamo che questa disgregazione ha colpito, oltre la vita, le singole identità. Siamo condannati a correre in un tempo che ci ha impoveriti e limitati, consumando un'esistenza che si direbbe soffocata da attività ormai senza più durata. La loro continuità ci impedisce di distinguerle, di capirle.
Scrive Byung-Chul Han: “L'uomo si restringe nel suo piccolo corpo, che cerca con ogni mezzo di mantenere sano. Altrimenti non gli resta assolutamente nulla. La salute del suo fragile corpo sostituisce il mondo e Dio. Nulla sopravvive alla morte. Per questo oggi riesce particolarmente difficile morire. E si invecchia senza diventare vecchi”.

Peter Handke si chiese perché non fu mai inventato dai greci un dio della lentezza, ma la risposta la conosciamo soltanto oggi: l'antichità, e i secoli passati, potevano permettersi il lusso di dimenticarsi la data corrente, persino l'ora e magari il giorno. Il tempo si viveva. Non si lottava contro di esso.
Byung-Chul Han parla del nostro come di “tempo senza profumo” e ricorda che atomizzazione e isolamento, alle quali è sottoposto, investono l'intera società. Per questo stanno perdendo importanza, o l'hanno ormai completamente perduta, “tutte quelle pratiche sociali come la promessa, la fedeltà o il vincolo, ossia quelle pratiche temporali che fondano una durata, vincolando il futuro e delimitando un orizzonte”.

Difficile aggiungere altro. Le teorie del tempo vissuto devono ormai fare i conti con la mancanza di materia prima; sino a qualche decennio fa si riusciva a progettare un futuro, ora è già un successo non esserne travolti, perché non si è più padroni e nemmeno attori del proprio tempo.
Qualcuno osserverà che non abbiamo parlato di quello cosiddetto “libero” e che Byung-Chul Han potrebbe dirci la sua. Ma a tale questione ha già risposto Ennio Flaiano in un elzeviro del 13 marzo 1969, apparso sul “Corriere della Sera”. Ecco le sue parole: “Il mito del tempo libero, che è il padre adottivo della stupidità”.

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