Si è discusso più del clima in questi ultimi due decenni che in tutto il resto della storia umana. La preoccupazione del surriscaldamento del nostro pianeta, della distruzione di un equilibrio naturale, la paura di conseguenti catastrofi sono argomenti sempre più dibattuti.
Tuttavia, pretendere che la Terra - considerata come un corpo vivente - non si prenda alcune sue libertà, è un desiderio eccessivo. Crediamo di utilizzarla e condizionarla, di esserne i completi padroni, ma in fondo non la conosciamo sino al punto di poterla governare a nostro piacimento. E' già gran cosa rispettarla e non considerare gli spazi a disposizione dell'uomo luoghi da saccheggiare o da riempire di immondizia.
Il clima, piaccia o no, è sempre variato. Al tempo di Dante faceva caldo, in quello di Mozart molto freddo. Se in Inghilterra nel Medioevo si poteva coltivare la vite, significa che allora quell'isola era più calda di oggi; se già nel XV secolo si tentò il passaggio a Nordest, che collega lungo il Polo Nord l'Oceano Pacifico con l'Atlantico, quella che tra qualche anno potrebbe diventare una normale rotta commerciale era già utilizzata in secoli meno freddi.
Ora un libro di Philipp Blom, “Il primo inverno” (Marsilio, pp. 288, euro 18), sostiene una tesi di grande interesse: il raffreddamento che investì la Terra tra il 1570 e il 1700, una “piccola era glaciale”, determinò l'inizio della modernità europea. Sarà Voltaire, in pieno secolo XVIII, a sostenere che nelle città fredde si pensa, mentre in quelle calde si ozia.
Blom, con scrittura accattivante, attingendo alle opere di testimoni diretti di quel cambio climatico (due tra i molti: Montaigne e Shakespeare), quasi immedesimandosi nel periodo, pone in evidenza come l'avvenuto abbassamento delle temperature da 3 a 5 gradi provocasse una devastazione dei raccolti spingendo gli uomini verso nuove ricerche.
I testi teologici cedettero spazio a quelli contenenti la soluzione di problemi concreti, la metafisica divenne secondaria rispetto alla scienza, le rotte delle navi si ampliarono sino a raggiungere terre mai frequentate. Le città aumentarono la loro popolazione, favorite dall'arrivo dei contadini: si creò quel proletariato urbano che avrà gran parte nelle rivoluzioni future. La nobiltà fondiaria si indebolì a favore della borghesia. I progressi causati da tali cambiamenti diventarono il motore della rivoluzione industriale. Insomma, l'abbassamento delle temperature mise in moto uomini e idee.
Blom ricorda che questo avvenne soprattutto in quelle zone dove la rivoluzione sociale ed economica trovò spazio, vale a dire Paesi Bassi, Francia e Gran Bretagna. In altri ambiti, dove “non c'è traccia di scritti in odore di ateismo”, le idee nuove non attecchirono. Si dovranno poi importare, come i cereali e altre merci.
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