La provincia italiana che sta svanendo dovrebbe essere dichiarata patrimonio dell'umanità. E' speciale. Si presenta più coinvolgente di quella francese, più ghiotta della britannica, più ironica della tedesca (ci vuole poco: là il sorriso è il grande assente). Nel Paese dei campanili, delle fazioni, delle gare e liti tra contradaioli, essere provinciali è naturale. Tutte le buone qualità italiane, dal culatello ai numeri che sostengono la baracca dello Stato, o Pil che dir si voglia, hanno avuto radici in provincia.
Certo, non è più quella di una volta. Eppure, il lavoro e i gusti del Belpaese, dai godimenti delle mangiate alle industrie degne del Made in Italy, sono ancora lì. La provincia è sonnolenta, sensuale, di certo un po' bigotta, sovente superficiale, sempre pettegola ma riesce comunque a conservare l'identità di una nazione che non si sente tale.
Michele Brambilla dirige la “Gazzetta di Parma” e ha lavorato al “Corriere della sera”, alla “Stampa”, a numerosi altri giornali. Un suo celebre libro, “L'Eskimo in redazione”, ha segnato un'epoca. E ora ha raccolto alcune inchieste del 2012 condotte in sei province italiane e ha intitolato il suo agile libro “Non ci sono più i cornuti di una volta” (La Vita Felice, pp. 76, euro 8). E come dargli torto, anche se un peccato in provincia si presentava come un'avventura, mentre quello commesso in città tendeva a un genere prossimo alla ginnastica?
I sei quadretti realizzati da Brambilla restituiscono un mondo di cui restano solo frammenti. Sono dedicati alla Luino di Piero Chiara, alla peccaminosa e pia Treviso di “Signore e signori”, a quella Parma descritta e filmata da Bevilacqua, alla Rimini di Fellini o alle risaie della zona di Vercelli evocate in “Riso amaro”, alla bassa bergamasca dove c'era “L'albero degli zoccoli”. Sono sei battiti del cuore italiano, pulsanti tra preghiere e lenzuola, con piccoli vizi prudenti e ingegnose imprenditorialità.
Un caso. Come si fa a spiegare in ambito europeo il baro Rimediotti? Scioperato giocatore d'azzardo, è possibile conoscerlo ne “Il piatto piange” di Chiara, insieme a quel micro-cosmo che viveva a Luino e si riconosceva tra una partita di carte e l'altra.
Già, Luino. Simile a Treviso, a Parma, a Rimini, ad altre cento provincie non ricordate ma presenti. Nei momenti evocati in questo librino le rivediamo con il loro discreto bordello, i peccatucci, le maestranze che lavorano, la voglia di fuggire e quella più forte di rimanere. Quel che resta, dicevamo, andrebbe protetto. Per non svelarne – ricorda Brambilla utilizzando una citazione in prima persona di Chiara - “l'enorme importanza per timore che i sociologi, i letterati, i sindacalisti, i sottosegretari, gli umoristi e gli altri uomini di primo piano vengano a disturbarmi nel meglio dei miei godimenti, cioè nel pieno del mio lavoro più serio, che è quello di vivere”.
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