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Dossier Matera 2019: la sfida oltre l'anno da Capitale Europea della Cultura

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    Dossier | N. 16 articoliMatera 2019, capitale europea della cultura

    Matera 2019: la sfida oltre l'anno da Capitale Europea della Cultura

    Matera 2019, capitale europea della cultura. (Tahar Ben Jelloun © Courtesy Antonia Jannone Disegni di Architettura)
    Matera 2019, capitale europea della cultura. (Tahar Ben Jelloun © Courtesy Antonia Jannone Disegni di Architettura)

    La lunga preparazione è quasi arrivata al termine. Il 19 gennaio, con la cerimonia di apertura, Matera darà il via alla programmazione del suo anno da Capitale Europea della Cultura 2019, assieme alla città bulgara di Plovdiv. È la prima volta che una città italiana del Sud viene insignita di questo titolo, che rappresenta un’opportunità potenzialmente decisiva sia per il futuro della città che per le strategie di sviluppo a base culturale del nostro Paese. Il titolo di Capitale Europea della Cultura non va inteso come un semplice “grande evento” che contribuisca ad aumentare la capacità attrattiva del territorio.

    Ciò che la Comunità Europea si aspetta è l’innesco di un processo trasformativo dalle profonde implicazioni socio-economiche e non soltanto culturali. Proprio per questo, il titolo non viene assegnato alla città che può vantare il patrimonio più prestigioso, quanto piuttosto a quella che manifesta una particolare “urgenza”, ovvero un insieme di criticità sociali, economiche e culturali che possono essere affrontate in modo particolarmente efficace attraverso una progettualità appositamente sviluppata e centrata sulla cultura. Una progettualità concentrata in special modo nell’anno del titolo, ma di fatto spalmata su un periodo molto più ampio, tanto nel percorso di preparazione (il titolo viene non a caso assegnato con cinque anni di anticipo), quanto, e anzi soprattutto, negli anni a seguire. Il successo di una Capitale Europea della Cultura non si misura quindi soltanto su ciò che accade nell’anno fatidico, quanto piuttosto verificando se ciò contribuisca effettivamente a modificare in misura rilevante e sostenibile la traiettoria di sviluppo della città e del suo territorio.

    Proprio per questa ragione, una programmazione scintillante ma effimera risulterà più lontana dallo spirito del programma e dalle sue finalità ultime rispetto ad una progettualità meno eclatante nell’immediato ma maggiormente capace di produrre effetti solidi e duraturi. Allo stesso tempo, ci si aspetta che la progettualità sappia coinvolgere in modo realmente effettivo ed inclusivo la comunità locale, sulla base della convinzione che nessun progetto calato dall’alto, per quanto valido, possa fare la differenza se non è co-creato – e non semplicemente fatto proprio – da chi vive il territorio. Si tratta quindi di una sfida estremamente ambiziosa e complessa, e proprio per questo il programma delle Capitali Europee della Cultura offre storie di risultati esaltanti ma anche di esiti deludenti o effimeri. Conquistare il titolo è quindi il primo passo, ma è soltanto il punto di partenza di un lavoro lungo, paziente e irto di ostacoli.

    Che Matera rispondesse ai criteri di “urgenza” che motivano la concessione di un titolo così importante è fuori di dubbio. In quanto prima città del Mezzogiorno a ricevere questo titolo, essa rappresenta anche un laboratorio ideale di esperienze e visioni che devono potersi trasmettere ai tanti altri territori che devono affrontare sfide simili. L’urgenza infatti non basta: occorre anche la capacità di proporre una progettualità credibile e innovativa. Matera ha saputo mettere in campo proposte molto significative, a partire dall’idea di una cittadinanza culturale che si estende non soltanto ai residenti ma a tutti coloro che a vario titolo partecipano alla vita culturale della città. Si tratta di una scelta impegnativa, che si propone di superare le logiche tristemente note del turismo usa-e-getta che consuma l’identità della città e del suo territorio, per ambire a nuove forme di sostenibilità sociale ed economica.

    Non sarà una partita facile da vincere, in quanto richiede la capacità di opporsi alla progressiva trasformazione della città storica in un parco a tema in cui l’uso dello spazio e la struttura dei servizi si orientano alle necessità della domanda turistica compromettendo di conseguenza la vivibilità per i residenti – ovvero, la preoccupante deriva che seguono tante città di patrimonio italiane ed europee. La partita della cittadinanza culturale è anche la partita della partecipazione attiva, un tema che nell’esperienza delle Capitali Europee della Cultura presenta criticità non di rado conflittuali. Ma si tratta di una conflittualità inevitabile e spesso utile al raggiungimento di una maturità partecipativa della comunità locale che, se acquisita, può costituire uno dei lasciti più importanti per gli anni a venire. Non ha pertanto senso alimentare le polemiche che accompagnano anche le esperienze più riuscite del programma delle Capitali Europee. È invece importante guardare a quanto di buono si realizza, e imparare dall’esperienza, compresi gli errori, inevitabili e anzi preziosi se affrontati come ulteriori opportunità di crescita.

    Il programma di Matera, articolato secondo 5 linee tematiche (Futuro Remoto, Continuità e Rotture, Riflessioni e Connessioni, Utopie e Distopie, Radici e Percorsi) e 4 grandi mostre, si svilupperà fino alla chiusura del 20 dicembre. Un’offerta così vasta e diversificata, che coinvolge artisti e organizzazioni di tutta Europa ed extraeuropei, dando al contempo grande attenzione ai talenti e alle realtà locali, offrirà ampi motivi per visitare Matera ad un pubblico sia italiano che internazionale. Ma sarà bene non appiattire i criteri di successo sulla conta delle presenze e sulle più convenzionali valutazioni di impatto economico immediato. Matera già da qualche anno gode di flussi turistici sempre più consistenti e internazionali, e ne godrebbe probabilmente anche in assenza di questo titolo per quanto prestigioso.

    Sarà importante allora fare attenzione anche all’evoluzione dei due progetti pilastro, quelli appunto che fanno programmaticamente da ponte tra l’ora e il dopo: la Open Design School, che si prefigge di creare un punto permanente di sperimentazione e innovazione interdisciplinare, animato non soltanto dagli esperti e dai professionisti ma rivolto in primis all’empowerment della comunità locale, e I-DEA, un modello innovativo di museo demo-etno-antropologico che si propone come “archivio degli archivi” della memoria culturale del territorio come asse fondamentale di trasmissione intergenerazionale del suo patrimonio culturale. La scelta di concentrarsi su due soli progetti pilastro è saggia, perché permette di concentrare forze e risorse su poche e specifiche linee di azione a lungo termine invece che disperderle in mille rivoli – un errore strategico che ha finito per costituire il principale punto debole di altre esperienze di Capitali della Cultura del passato.

    Un grande e sentito augurio quindi affinché Matera 2019 sia un successo, per il territorio lucano ma anche per tutto il Sud e per tutto il nostro Paese, la cui prossima occasione di ospitare una Capitale Europea della Cultura tornerà nel lontano 2033. Sarebbe un passo importante per ridare slancio ad una visione di sviluppo locale in cui la cultura possa fare la differenza. L’Italia di questi anni ne avrebbe un estremo bisogno.

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