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Così Jaffe andò alle vere origini del capitalismo

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il ricordo

Così Jaffe andò alle vere origini del capitalismo

  • –di Sante

Davide Danti, un esperto grafico editoriale politicamente molto impegnato, cognato di Ada Jaffe, mi fa conoscere Hosea Jaffe nel 1967. Jaca Book aveva appena iniziato le pubblicazioni. Motivo dell'incontro un libro sul Kenia rifiutato da altri editori, ma è il cuore del discorso di Jaffe che mi convince: non si può spiegare il capitalismo senza il colonialismo che ne permette la nascita e la persistenza.

Andiamo a mangiare insieme un riso alla parmigiana in un self service affollatissimo e facciamo il contratto. A quel libro ne seguiranno una trentina. Hosea, ricordando l'episodio, scrive nella sua autobiografia: “Nonostante le differenze tra noi riguardo alla religione, compartivamo idee molto simili in politica, economia e storia. Presto la nostra relazione di lavoro divenne una forte amicizia”.
La ragione del fatto che Hosea abbia desiderato che parlassi di lui in questo che io chiamo “passaggio” è tutta in questa amicizia nata pubblicando e forse, sapendo che io considero la morte un passaggio, la volontà di Hosea , espressa anche recentemente, mostra che l'idea forse non gli fosse sgradita.
Davanti alla morte si ama dire di una persona un aggettivo per caratterizzarne una virtù. Io non dirò che Hosea Jaffe era un uomo giusto, io dico che dell'impegno per un mondo più giusto ha occupato tutta la sua vita e su questo nessuno può obiettare. In lui la figura dello studioso si fonde con quella del militante. Le sue ricerche, le sue opere, anche le più scientifiche, sono sempre un gesto di militante educazione ed insegnamento e la sua militanza è stata sempre ponderatamente ragionante.
Jaffe non ha mai cercato il consenso, tantomeno l'applauso. Non si è mai accomodato in un salotto di intellettuali progressisti.
Tra gli economisti del XX secolo Hosea Jaffe è forse lo studioso che ha avuto più capacità di previsione rispetto all'evolversi di ciò che oggi chiamiamo globalizzazione, ha avuto anche dalla fine degli anni '80 una chiara visione di come l'Unione Economica Europea sarebbe divenuta un feudo della Germania concorrenziale e poco “diversificata” rispetto ali USA.
Dopo la militanza nello Unity Movement in Sud Africa, dopo le dure esperienze in Etiopia e Kenia di fronte al neocolonialismo, Jaffe non demorde e insegna a chi vuole ascoltare viaggiando, scrivendo, dialogando, consigliando e opponendosi con decisione a qualsiasi edulcorazione e fuga dalla realtà. Così Jaffe si rende ostico alle sinistre europee e all'euromarxismo, come soleva dire, fin dalla fine degli anni '60.

Tre le notazioni scandalizzanti, per i progressisti europei di quegli anni.
Il parallelo tra lo stato di Israele e lo stato di apartheid in Sud Africa (ripreso in La trappola coloniale oggi. Sudafrica, Israele, il mondo, 2003), l'affermazione che un paese del terzo mondo per non vedere implodere nella miseria una fascia vastissima della sua popolazione, deve rompere i legami, le catene con l'azienda mondo (Via dall'azienda mondo, 1995).
Jaffe portava spesso l'esempio di quarant'anni di distacco dall'azienda mondo da parte dello stato del Kerala, nel sud dell'India, dove, tra l'altro, si era sviluppato un pluralismo culturale così caro ad uno studioso come Panikkar. “La povertà contro la miseria” direbbe Rahnema.
Veniamo alla più ostica delle affermazioni per dei sindacati che in Europa stavano conquistando ciò che chiamiamo uno stato sociale e che ora l'Unione Europea sta smantellando. Era per Jaffe non certo di un'opposizione ai diritti dei lavoratori, ma secondo l'economista sudafricano si trattava di riconoscere che nei salari europei c'era una particella di plus valore coloniale. Le conquiste operaie infatti, ricordava Jaffe, si fanno sulle ali del boom economico e divengono impossibili nelle crisi avanzate. Il non riconoscere questo ha portato l'Europa a una corsa scellerata e illusoria sul come sviluppare l'unione economica. Una pubblicazione del 1994 dal titolo Germania verso il disordine mondiale era l'esatta previsione del disastro a cui oggi assistiamo, per non parlare delle guerre che hanno sfaldato la Jugoslavia.

Una cassandra capace solo di vedere i mali del mondo?
Per nulla affatto la sua lotta al cancro del colonialismo che immiserisce interi popoli e l'anima degli stessi colonizzatori e pervade, perciò, gli uomini disumanizzandoli, non solo provocando miseria materiale , ma producendo miseria culturale e spirituale, è una lotta che vede sempre la possibilità del diverso.
Qui, staccandosi da un meccanismo dello stesso Marx, si chiede se il capitalismo sia stato necessario. Senza entrare ora in un dibattito difficile, ci interessa vedere come Jaffe abbia una fiducia di fondo nella capacità di un popolo e degli uomini di staccarsi dall'azienda mondo. Questa capacità ha colpito il filosofo Carlo Sini, da sempre estimatore dei lavori di Jaffe. Questo ci fa ricordare come “gli uomini liberi si incontrano“ perché si riconoscono.
Può essere che Hosea, così preso da una missione epocale, abbia a volte, sottovalutato problemi famigliari. Io posso testimoniare di aver sentito da lui sempre espressioni di totale affetto nei confronti di tutti i figli e verso parenti, e so quanta importanza abbia avuto Ada per la sua vita e per il suo stesso lavoro. Le persone di genio possono apparire difficili e, a volte, distratte rispetto allo scorrere della vita, dato l'impegno che profondono nelle loro battaglie o creazioni.
Ho notato però in Hosea una grande curiosità, non era affatto monocorde sui suoi interessi. Abbiamo assieme parlato di arte precolombiana e bizantina, due campi in cui Jaca Book ha sempre pubblicato, c'era in lui una grande fiducia nelle espressioni dell'uomo.
Oggi il suo messaggio così radicale sul colonialismo è più comprensibile di ieri e sono convinto che la sua opera diverrà un riferimento per un mondo meno ubriaco di sviluppo cieco.
Il suo contributo all'analisi della realtà economico-politico mondiale è enorme perché ha avuto sempre l'ottica di chi guardava il mondo di Soweto, cioè dall'Africa degli africani, pur conoscendo le dinamiche economiche e finanziarie delle potenze. Non si è mai staccato dal punto di vista di quel mondo africano. Là erano i suoi compagni, solo il suo volto bianco da europeo russo lo differenziava, ma la fratellanza fra gli uomini comporta unire colori diversi.
Siamo qui nel mezzogiorno d'Italia. Jaffe condivideva in buona parte le posizioni di Quaderni Calabresi, di Francesco Tassone e Nicola Zitara: l'unità di Italia aveva creato una condizione coloniale nel mezzogiorno. Jaffe parlava di semi-colonia. Non riconoscere i gravi errori storici e l'abuso che si è reiterato da parte delle classi dominanti sul mezzogiorno, resta un grave problema irrisolto. Il riconoscerlo, diceva Jaffe, sarebbe il primo passo.
Il problema è sempre quello: il colonialismo ha creato un mondo invivibile, occorre partire da un atto di coscienza.
Io e Vera Minazzi, editori di Jaca Book, confidiamo, pubblicando nel prossimo anno l'autobiografia, di ridare un più forte ascolto al contributo di Hosea per un mondo più giusto.

Sante Bagnoli è presidente della Jaca Book

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