Finché non saranno saldati i conti con il passato, sarà difficile pensare a un futuro diverso. Suona più o meno così il richiamo, l'ennesimo, del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco a un intervento straordinario sui crediti in sofferenza che zavorrano i bilanci delle banche e limitano sul nascere i nuovi impieghi.
A differenza di altri interventi passati, stamattina Visco non ha fatto riferimento alla possibilità di una ”bad bank” che acquisti dagli istituti almeno una parte degli Npl che si trovano in pancia. Il motivo è semplice: allo studio da parte del governo ci sono più interventi, tutti destinati ad avviare il mercato delle sofferenze, e alla Banca d'Italia interessano tutti allo stesso modo, purché si faccia qualcosa: «Lo sviluppo di un mercato secondario dei crediti deteriorati contribuirebbe a riattivare appieno il finanziamento di famiglie e imprese», ha ricordato il governatore.
Ma il mercato degli Npl, «oggi pressoché inesistente», per funzionare ha bisogno di un intervento esterno che consenta di avvicinare il livello dell'offerta – cioè il prezzo a cui le banche sono disposte a vendere portafogli di crediti – a quello della domanda, cioè il valore a cui gli operatori di settore sono disponibili ad acquistare. Un recente report di Goldman Sachs aveva stimato in 29 punti percentuali la distanza media tra domanda e offerta: oltre la metà di questo gap, ritengono gli analisti, potrebbe essere coperto semplicemente con la riduzione dei tempi del recupero crediti resa possibile dalla riforma del diritto fallimentare allo studio del Governo; un altro contributo, poi, potrebbe arrivare dall'accorciamento a un solo anno (contro gli attuali 5) del termine entro il quale si possono dedurre fiscalmente le perdite sui crediti, un'altra norma – sempre in fase di preparazione da parte dell'Esecutivo – che allineerebbe l'Italia al resto d'Europa e spingerebbe gli istituti a nuove svalutazioni. Avviate le prime due misure, la terza – che è la bad bank – potrebbe anche non servire, oppure stare in piedi anche senza contributi pubblici, configurando così quell'aiuto di Stato che di fatto rischia di tenere lontane molte banche.
Un dato è certo: il conto da pagare è salatissimo. Tra sofferenze e crediti deteriorati, in totale sulle banche italiane oggi c'è una zavorra da 350 miliardi – il 17,7% del totale degli impieghi. Che penalizza sul nascere il nuovo credito delle banche. Rallentando la ripresa e vanificando in buona parte gli sforzi del Quantitative easing e delle altre politiche monetarie imbastite dalla Bce, che hanno come obiettivo prioritario il sostegno all'economia reale. Perché se è vero che «le nuove erogazioni sono tornate a crescere dagli ultimi mesi del 2014», come ha ricordato lo stesso Visco, le maxi iniezioni di liquidità della Bce sottoforma di T-Ltro (un terzo delle quali è finito alle banche italiane) e i tassi ai minimi storici configurano una situazione teoricamente irripetibile.
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