Finanza & Mercati

Deutsche Boerse-Lse, fusione da 26 miliardi

  • Abbonati
  • Accedi
mercati globali

Deutsche Boerse-Lse, fusione da 26 miliardi

«È una scelta vincente per tutti anche per Borsa italiana che manterrà lo stesso management, stesse risorse, stesso sistema di regolamentazione, con l'aggiunta però di nuovi flussi di liquidità garantiti dalla partecipazione a un'impresa leader globale. Quanto al cost cutting Milano ha fatto abbastanza, è una realtà molto efficiente. I risparmi (si ipotizzano 450 milioni l'anno n.d.r.) ricadranno prevalentemente su Londra e Francoforte».

Xavier Rolet, ceo di London stock exchange Group di cui fa parte il listino italiano, nel giorno dell'annuncio della fusione fra Lse e Deutsche Boerse esclude l'integrazione fisica delle piattaforme di business ed esclude, in particolare, contraccolpi su piazza Affari, tracciando un futuro a tinte rosa per l'impresa che verrà. I management dei due gruppi hanno messo a punto i termini di una fusione che vedrà nascere una società da 26 miliardi di euro di capitalizzazione, prima al mondo, fra quelle del settore, anche come ricavi. Una «fusione fra uguali», insistono a Londra e Francoforte anche se gli azionisti tedeschi avranno il 54,4% del futuro gruppo e quelli britannici il 45,6 a indicare una distonia che non ricade sull'alchimia della distribuzione geografica e delle poltrone. Sede fiscale a Londra, headquarter sia a Londra che a Francoforte, listing nelle due città, ceo tedesco (Carsten Kengeter di Boerse) presidente, almeno per ora, il britannico Donald Brydon numero uno di Lse. Per Xavier Rolet, invece, promette di chiudersi una stagione movimentata che lo ha visto consolidare il rapporto con Borsa Italiana (Lse Group nasce dalla fusione fra il listino di Londra e quello di Milano) e gestire un'espansione nel segno del consolidamento. «E il consolidamento continuerà – aggiunge – anche in futuro perchè stiamo andando verso un framework globale di regolamentazione e ci sarà spazio solo per poche infrastrutture. Toccherà al mio successore misurarsi con Asia e America... Non bisogna dimenticarsi che il trading in equity in Europa vale circa 40 miliardi di dollari al giorno, in Usa 300, in Cina 600. L'Europa è piccola e per le società dipendere dal prestito bancario è un enorme handicap. Se si rimane frammentati e divisi chi paga il prezzo? Le imprese e gli investitori».

Il timore è che, intanto, il prezzo del deal lo possa pagare anche Borsa. Xavier Rolet insiste e precisa. «Nessuno spin off di asset italiani. In realtà non abbiamo considerato nessuno spin off, anche se non posso immaginare quale sarà la posizione dei regolatori». Il clearing con la britannica Lch e la tedesca Eurex è uno dei fattori che più giustificano l'operazione perchè le mosse dei regolatori sui derivati e non solo hanno spinto all'insù la profittabilità del business, permettendo ai listini di trovare nuove fonti di ricavi. L'integrazione, seppure non fisica, delle clearing houses consentirà di ottimizzare l'offerta e i margini. «Questa fusione – continua il manager - unificherà la nostre presenze in tutto il mondo. Mts, ad esempio, che tante soddisfazioni dà in Italia e nel Regno Unito, potrà crescere in Germania. Montetitoli lavorerà con Clearstream garantendo nuove opportunità alle banche sulla gestione globale dei collaterali. Questa non è la storia di Euronext venduta agli americani che poi ne hanno ceduto un pezzo ed ora non esiste quasi più con Olanda, Belgio, Francia e Portogallo che sono più piccoli della Borsa spagnola. Borsa Italiana ha fatto molto e crescerà ancora in un ticket vincente».

Se il “ticket” davvero vincerà. Gli americani di Ice e quelli di Cme hanno tempo fino al 29 marzo per rilanciare. «La mano è ancora lunga – ha commentato a Bloomberg John Colley della Warwick business school – vedremo altri farsi avanti». Per il momento Xavier Rolet assicura di non aver parlato con nessuno. «Se mi aspetto una mossa dall'America? Non lo so – precisa – non li ho mai sentiti e non sappiamo niente delle loro intenzioni al di là di quanto è stato reso pubblico». Sa, però, che sulla finalizzazione del deal (la chiusura teorica dell'operazione è prevista fra fine 2016 e primi mesi del 2017) incombe Brexit. «Il deal andrà avanti indipendentemente dall'esito del referendum», precisa aggiungendo che se Brexit dovesse essere ci troveremmo tutti in un altro mondo dove rischia di non trovare più posto l'Europa di oggi. È probabile comunque che in uno scenario del genere Londra e Francoforte finiscano per trovare ostacoli fra gli azionisti. Il voto di Deutsche Boerse avverrà forse dopo l'esito della consultazione popolare britannica, quello di Lse sarà sicuramente prima. È indubbio che, quantomeno psicologicamente, l'ostacolo di un'uscita di Londra dall'Unione pesa abbastanza da mettere in pregiudizio l'evidenza dell'operazione. Delle sinergie di business come gran moltiplicatore di ricavi si è detto, ma il beneficio più immediato è nel taglio dei costi. Si parla di 450 milioni l'anno di euro. «Consideriamo che la maggior parte dei risparmi - spiega il ceo di Lse – possa giungere dall'armonizzazione delle tecnologie. Non trasferendo piattaforme da un Paese all'altro ma portando le piattaforme esistenti verso tecnologie a più basso costo».
I mercati credono al deal, ma non si lasciano trasportare dagli entusiasmi sui benefici effetti del “merger” fra uguali e dopo lo strappo dei giorni scorsi ripiegano con Lseg in flessione dell'1,2 per cento.

© Riproduzione riservata