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Bolloré, identikit dell’uomo forte della finanza europea tra…

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finanzieri d’assalto

Bolloré, identikit dell’uomo forte della finanza europea tra ragnatele societarie e grande liquidità

Al mercato non è piaciuto l’ultimo bilancio di Bollorè. Ieri la holding industriale del finanziere bretone ha perso quasi il 3% alla riapertura sul listino di Parigi dopo la diffusione dei conti del 2015 alla vigilia di Pasqua. E questo solo perché gli utili operativi, pur saliti dell’8% sul 2014, sono stati più bassi delle attese degli analisti. Poco è importato che l’utile netto della compagnia sia salito del 161% a quota 564 milioni. Vincent Bollorè avrà probabilmente fatto spallucce.

Non basta una seduta no a impensierire un uomo che siede su un impero che spazia dai trasporti, ai porti, alla logistica alle piantagioni in mezzo mondo fino all’epicentro della finanza che conta con le quote importanti possedute in colossi europei come Vivendi (e da qui in Telecom Italia), in Mediobanca, in Havas solo per citare le più prestigiose. E sarà rimasto imperturbabile anche a quella caduta del titolo del 30% dai suoi massimi del 2015 a 5 euro. Lui guarda lontano e sa che la sua Bollorè ha più che raddoppiato il valore negli ultimi 4 anni. Gli anni dei grandi raid finanziari che paiono non essere finiti. In fondo il suo gruppo scoppia di salute e le scorribande finanziarie se le può permettere. Eccome. La Bolloré, cuore delle mille attività operative, fattura oltre 10,8 miliardi e capitalizza in Borsa l’intero fatturato. Ha un margine operativo lordo che supera 1,1 miliardi e un utile operativo al 7% dei ricavi. La salute non è episodica. Dal 2010 tra attività portuali in Africa e Far East; piantagioni; distribuzione di energia; media e comunicazione il gruppo ha aumentato i ricavi del 40%; ha raddoppiato l’utile operativo sui ricavi e soprattutto vanta un’invidiabile struttura patrimoniale. Il capitale netto della Bollorè vale oggi 9,9 miliardi quasi l’intero fatturato e il debito pur salito di 2,5 miliardi solo nel 2015 vale, con i suoi 4,3 miliardi, meno della metà del patrimonio. Non solo, ma la liquidità disponibile supera il miliardo e mezzo.

Bollorè può impegnarsi in nuove operazioni, può indebitarsi senza preoccupazioni come ha fatto con l’acquisto della quota Vivendi salita dal 5% al 14,4% l’anno scorso. Nel suo forziere ci stanno pezzi pregiati. Solo le quote che possiede in via diretta e indiretta nelle quotate come Vivendi o Mediobanca dove ha l’8%, valevano a fine 2015 quasi 5 miliardi. Con lo scossone di inizio anno quel valore è sceso ma continua a valere quanto il debito finanziario netto della Bollorè. Il finanziere francese può domani vendere tutti gli asset quotati e portare il debito a zero. O come è assai più probabile continuare lo shopping finanziario grazie al miliardo e mezzo di cassa e alla possibilità di indebitarsi per altri 2-3 miliardi senza pregiudicare gli equilibri patrimoniali della sua principale quotata.

Di certo Bollorè è un maestro delle scatole cinesi: la Bollorè è controllata al 63% dalla sua cassaforte, la Financiere de l’Odet che a sua volta è controllata con il 55% dal suo veicolo di famiglia la piccola Sofibol. È la cima della piramide e ha capitale per soli 180 milioni. Di scatola in scatola si arriva dalla piccola Sofibol alle prese miliardarie su Vivendi, Telecom Italia, Mediobanca. Con poche centinaia di milioni messi di tasca sua, il raider francese governa su mezzo Gotha della finanza europea.