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Pfizer-Allergan, salta la fusione da 160 miliardi

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Pfizer-Allergan, salta la fusione da 160 miliardi

L’amministrazione Obama si è aggiudicata una vittoria importante nella lotta contro l'inversione fiscale: il gruppo farmaceutico americano Pfizer ieri ha messo fine all'accordo da 160 miliardi di dollari siglato nel novembre 2015 con la rivale irlandese Allergan e in base al quale il produttore del Viagra si sarebbe trasferito a Dublino per godere di aliquote fiscali più basse e accedere a miliardi di dollari parcheggiati all’estero proprio per evitare di pagare conti salati al Fisco statunitense.

Sempre ieri, la stessa amministrazione ha sferzato un colpo che potrebbe risultare letale alla fusione tra il secondo e il terzo gruppo al mondo nei servizi petroliferi dopo Schlumberger: le texane Halliburton e Baker Hughes.

Il dipartimento di Giustizia ha infatti comunicato di volere bloccare per motivi antitrust le nozze che valevano 34 miliardi di dollari quando furono annunciate nel novembre 2014; il crollo dei prezzi petroliferi ha tuttavia eroso la capitalizzazione delle due aziende portando la cifra a 25 miliardi.

La decisione presa da Pfizer è arrivata dopo soli due giorni dall’adozione da parte del dipartimento americano del Tesoro di nuove misure volte a frenare la cosiddetta «tax inversion».

La Casa Bianca ha negato di prendere di mira transazioni specifiche ma quella tra Pfizer e Allergan sarebbe stata una inversione fiscale record. Inoltre, le nuove norme annunciate lunedì scorso riguardano «serial inverter», aziende che realizzano ripetutamente inversioni. E per Washington, Allergan rientra in questa categoria: il produttore del Botox si trasferì dagli Usa in Irlanda dopo essere stato acquisito nel 2015 dalla dublinese Actavis, che a sua volta abbandonò la sua cittadinanza Usa quando nel 2013 traslocò a Dublino grazie all'acquisizione di Warner Chilcott, che là ha sede.

Il Tesoro ha inoltre fatto in modo che i benefici dati dal merger andassero in fumo: in base a come era strutturata la fusione, Pfizer doveva controllare il 56% del gruppo combinato ma con le nuove regole salirebbe all’80%, oltre cioè il 60% che in base alle norme vecchie avrebbe garantito benefici fiscali notevoli. Da qui la scelta del gruppo Usa di rinunciare alla transazione.

Pur dicendosi «deluso», l’amministratore delegato di Allergan, Brent Sauders, ha spiegato che la sua azienda «è sulla strada giusta per garantire una crescita solida». Quando il 10 maggio prossimo diffonderà i conti del primo trimestre fiscale, il gruppo darà aggiornamenti su come intende semplificare le sue attività dopo il completamento della cessione - annunciata lo scorso luglio - delle divisione di farmaci generici alla israeliana Teva.

La vera batosta l'ha presa il numero uno di Pfizer, Ian Read, che da tre anni era in cerca di un partner con cui ridurre il conto con il Fisco Usa. Nel 2014 tentò senza successo di comprare la britannica AstraZeneca e prima di guardare ad Allergan valutò opzioni con la canadese Valeant e l’inglese GlaxoSmithKline. Anche le banche d’investimento restano a bocca asciutta: avrebbero incassato 350 milioni di dollari in commissioni, un record nelle attività di M&A.

Se il merger tra Pfizer e Allergan è ormai sepolto, Halliburton e Baker Hughes nutrono ancora qualche speranza di realizzare una fusione studiata anche in Ue. I due gruppi intendono contestare l'azione «controproducente» del dipartimento di Giustizia. La loro tesi è che le nozze sono «a favore della competizione». Non la pensa così il segretario alla Giustizia Usa, Loretta Lynch: «L’accordo proposto eliminerebbe una competizione vitale, distorcerebbe i mercati dell'energia e lederebbe i consumatori americani». Inoltre i disinvestimenti proposti non sono considerati sufficienti. La lotta si sposta dunque sui banchi di tribunale. Ma l'ora X è il 30 aprile: entro quella data Baker Hughes potrebbe esercitare il diritto di mettere fine all'accordo di fusione intascando 3,5 miliardi di dollari per non essere salito all’altare con il gruppo più grande.

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