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Ti puoi davvero fidare di un consulente finanziario robot?

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il dibattito negli stati uniti

Ti puoi davvero fidare di un consulente finanziario robot?

(AFP Photo)
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Ti puoi davvero fidare di un robo-advisor? La domanda a bruciapelo arriva dagli Stati Uniti, il Paese che è stato pioniere dei “consulenti software”, le piattaforme online che offrono ai risparmiatori soluzioni di investimento più o meno personalizzate, a fronte di una parcella definita e low cost. Un business che oltreoceano ha numeri in forte crescita, come mostrano WealthFront e Betterment, ma che anche in Europa sta conquistando spazi, per esempio con Nutmeg in Gran Bretagna, T-Advisor in Spagna, Moneypark in Svizzera e Moneyfarm in Italia.

L’obbligo del rapporto fiduciario
Ora però il dubbio sollevato oltreoceano è: i robo-advisor agiscono davvero nell’interesse del cliente-risparmiatore? Un dubbio reso ancor più stringente da una norma nuova di zecca, varata il mese scorso dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti e pensata in particolare per la previdenza complementare a stelle e strisce. Si tratta dell'ormai famosa fiduciary rule, che obbliga legalmente ogni consulente a porre in primo piano l’interesse del cliente (e non quello dell’intermediario o banca). Obbliga insomma, per farla breve, a evitare i conflitti d'interesse.

Il report della Finra
In questo contesto, in marzo la Financial Industry Regulatory Authority (Finra) ha pubblicato uno studio proprio sui robo-advisor intitolato Report on Digital Investment Advice. Tra le righe, come ha notato l'ex consulente della Federal Reserve Melanie Fein, lo studio sottolinea che da soli i software non raggiungono lo standard di fiducia garantito dal gradi di giudizio di un esperto consulente professionale in carne e ossa (a patto, ovviamente, che non sia in malafede). In particolare, il maggior limite di un robo-advisor è quello di non riuscire a fornire un’analisi dettagliata e personalizzata basata su dati e informazioni individuali, inclusa la situazione finanziaria generale e gli altri investimenti. «E se un robo adviser non è in grado di fare un’analisi complessiva di portafoglio, non riesce a garantire un rapporto fiduciario», quello richiesto dalle nuove norme.

I dubbi della Massachusetts Securities Division
In aprile, è poi stata la Massachusetts Securities Division a esprimere cautela sui “software consulenti”. «I robo advisers non possono pienamente soddisfare i loro obblighi fiduciari se non sono in grado di eseguire la due diligence necessaria per agire nel miglior interesse dei loro clienti - si legge in una dichiarazione della Securities Division - . Più in specifico, l'impossibilità da parte dei robo advisers di condurre la due diligence, così come la loro struttura “spersonalizzata”, possono renderli incapaci di fornire un'adeguata e personalizzata consulenza per prendere le decisioni di investimento più appropriate».

La difesa dei robot advisers
Appena uscite le nuove norme sull'obbligo di un rapporto fiduciario, è partita la levata di scudi dal mondo dei robot advisers. «Non c'è nulla di intrinsecamente diverso tra la consulenza fornita da una piattaforma digitale e quella fornita con mezzi tradizionali - spiega Christopher Jones, direttore finanziario a Financial Engines, piattaforma di “robot-advisoring” - gli standard sono esattamente quelli di un rapporto fiduciario». E comunque le nuove norme rappresenteranno un catalizzatore importante per l'industria del robo advisoring, facendolo evolvere nella direzione di un solido rapporto fiduciario.
E a proposito della due diligence, quella che secondo la Massachusetts Securities Division rappresenta il nervo sco

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perto dei robot? Come può - si chiedono i critici - una piattaforma online conoscere ed elaborare informazioni davvero sensibili come il valore del capitale umano del cliente, del patrimonio del coniuge, di una futura eredità? Come fanno i robot a ipotizzare la miglior asset allocation nell'interesse del cliente se non conoscono tutti i dettagli della sua situazione finanziaria personale?

E i conflitti d’interesse?
«In qualità di fiduciario devi per legge agire in nome del miglior interesse del tuo cliente - riassume Jones - e non per arricchirti», continua il direttore finanziario di Financial Engines: evitare i conflitti d'interesse. Siamo così sicuri, è la domanda da cento milioni lasciata galleggiare tra le righe, che i consulenti umani (anche quelli che conoscono a menadito la situazione finanziaria del cliente) siano così immuni dai conflitti d’interesse?

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