Quando ci fu da decidere il collocamento delle istituzioni europee, Milano discretamente si era candidata per l’Eba, l’Authority partecipata dalle autorità di vigilanza dei Paesi membri della Ue che in sostanza svolge il ruolo di regulator, in coordinamento con gli organismi europei, per la normativa di secondo livello nel settore creditizio. Allora l’antagonista era Londra e non c’era stata partita. L’Italia, però, con il sostegno della Banca d’Italia, aveva espresso a capo dell’Eba, con la qualifica di direttore generale, Andrea Enria, tuttora in carica dal marzo 2011, bocconiano con master a Cambridge, proveniente da Via Nazionale dove era stato responsabile del dipartimento regolamentazione e politica di vigilanza, con una precedente esperienza in Bce come capo della divisione supervisione finanziari. Ma ora che lo spettro della Brexit si è materializzato e il commissario europeo britannico Jonathan Hill ne ha subito tratto le conseguenze dimettendosi, il distacco del Regno unito dal Continente è già iniziato e si è già aperta la gara per ospitare la prestigiosa istituzione.
Madrid si è già fatta avanti con il vice primo ministro Soraya Saenz de Santamaria, che ha candidato la capitale spagnola. Ma in lizza ci sono anche Parigi e Francoforte e probabilmente anche Amsterdam e l’Austria. Dall’Italia l’idea di ricandidare il capoluogo lombardo come nuova sede dell’Eba è venuta all’Assosim, l’associazione degli intermediari finanziari. Una proposta, lanciata all’indomani dell’esito del referendum britannico, che il neo sindaco Giuseppe Sala ha subito raccolto con convinzione. Milano, vicina all’Europa, tradizione di lavoro quasi calvinista, ha da spendere la logistica dell’area Expo già collegata con la metropoli e veloce da riqualificare. Però occorre che il Governo di Roma ci creda e si spenda per giocarsela di fronte a una concorrenza che si prospetta agguerrita.
“Milano, vicina all’Europa, tradizione di lavoro quasi calvinista, ha da spendere la logistica dell’area Expo già collegata con la metropoli e veloce da riqualificare”
Sulla carta le chance ci sono. «Parigi è già sede dell’Esma (la “Consob” europea), Madrid dello Iosco (l’organizzazione internazionale delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari), Francoforte, oltre che della Bce, anche dell’Eiopa (l’Autorità europea delle assicurazioni», ricorda Gianluigi Gugliotta, segretario generale dell’Assosim, che ha voglia di rilanciare Milano come piazza finanziaria, ruolo che negli ultimi anni si è un po’ appannato. Il presidente dell’Associazione, Michele Calzolari, ha proposto di istituire tempestivamente un tavolo di lavoro con il Governo al quale partecipino tutte le associazioni rappresentative del mercato: oltre ad Assosim, Abi (le banche), Assogestioni (i fondi) e Assonime (le società quotate). Per rendere la piazza meneghina attrattiva «gli sgravi fiscali sono condizione necessaria, ma non sufficiente - sottolinea Gugliotta - Occorre anche, per esempio, intervenire sui tempi della giustizia e del contenzioso fiscale».
L’occasione però è unica e c’è poco tempo da perdere. Ospitare l’Eba non è solo una questione di prestigio. Significa anche ospitare 150 professionisti di alto livello, 150 famiglie, con ricadute sulle istituzioni universitarie (Milano a riguardo vanta eccellenze di livello internazionale), promuovere un “indotto” di convegnistica, di attività alberghiera e di ristorazione. Se davvero la Gran Bretagna darà seguito alla volontà popolare - pur spaccata a metà - e uscirà dall’Europa, non ci sarà alcun motivo di mantenere a Londra la sede di un’istituzione che fa parte del sistema europeo di vigilanza finanziaria.
Più difficile invece, anche se l’ipotesi è suggestiva, immaginare di poter offrire una sponda alla Borsa di Londra perchè non esca dall'Europa. Il London Stock Exchange un piede in Europa l’ha già con Piazza Affari che fa parte del gruppo. Ma quel che conta non è la sede legale della holding, che è ininfluente ai fini delle conseguenze della Brexit, bensì la sede della società-mercato. Se l'Lse, intesa come società operativa, restasse nella City e l'Inghilterra uscisse dalla Ue, continuerebbe a essere sottoposta alla vigilanza dell'Fsa (la “Consob” inglese)e alle regole locali, ma dovrebbe rinegoziare tutti i rapporti - dagli aspetti operativi a quelli di collaborazione nella vigilanzache - che oggi sono automaticamente riconosciuti per l'appartenenza alla casa comune europea. Col sospetto, fondato, che comunque non tutto sarebbe più come prima. Quando Euronext, la federazione tra le Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona, si era fusa con il New York Stock Exchange, i regolatori sulle due sponde dell’Atlantico avevano passato mesi a stendere protocolli. E, tuttavia, non era stato possibile consentire l'accesso diretto degli intermediari americani ai listini europei e viceversa.
Per risolvere il problema alla radice, insomma, non basterebbe trasferire la sede legale della holding. Occorrerebbe invece trasferire la sede del mercato della City all'interno di un Paese Ue. Questo però significherebbe assoggettare l’operatività della Borsa di Londra alla legislazione del Paese ospitante e alla vigilanza dell’Authority locale, Consob o Bafin che dir si voglia. A parte l'ostacolo della lingua, culturalmente il trasloco nel Continente sarebbe sarebbe impensabile per la regina della finanza anglosassone. Non per questo l’Italia può permettersi di ignorare il problema: di qui la richiesta ufficiale all’Lse del presidente Consob, Giuseppe Vegas, (di cui ha dato conto «Il Sole-24Ore» ieri) di concordare tutti i passi che possano avere riflesso su Borsa italiana e le sue controllate, il mercato all’ingrosso dei titoli di Stato Mts, la Cassa di compensazione e garanzia, e Montetitoli.
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