Che cos’era Milano venticinque anni fa? Una città sull’orlo di una crisi di nervi con un sindaco, Paolo Pillitteri, che in diretta televisiva insultava («nazisti, squadristi...») i tramvieri in sciopero. Una classe dirigente che sfilava alla sbarra davanti a un magistrato-contadino che da lì a poco l’avrebbe azzerata. L’industria perdeva i pezzi uno a uno, dall’Alfa di Arese all’Ansaldo-Breda. La Borsa e la finanza ripiegavano su se stesse dopo anni di corse folli. A parlare di futuro e progetti in quel momento storico si rischiava l’internamento.
Dopo il periodo parentetico dell’amministrazione Formentini, alla guida della città si sono alternati sindaci e giunte di colore diverso, ma con il minimo comune denominatore del fare. Gabriele Albertini (1 e 2), Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, pur con obiettivi e sensibilità diverse, hanno restituito alla città la voglia di pensare al proprio futuro.
I progetti di sviluppo urbanistico e immobiliare hanno visto la luce, per la prima volta in Italia, in maniera coordinata e hanno regalato a Milano lo skyline che oggi vediamo: da Porta Nuova a Citylife a Parco Vittoria. Sette università e 140mila studenti hanno innervato il tessuto cittadino e avviato la trasformazione di un’economia basata sull’industria pesante, figlia della ricostruzione e del boom economico, in un’economia di servizi. Un potenziale pensatoio e hub tecnologico della manifattura che da Bergamo a Brescia, da Como a Varese ha continuato a crescere conquistando quote di mercato nel mondo.
Il Salone del Mobile e le sfilate della moda, entrambi in crescita continua, sono state le vetrine della città fino all’apice di Expo 2015, sfida vinta dal sistema, proprio quando tutto sembrava perso, solo grazie a un incredibile rush finale.
Che cosa sarà Milano nei prossimi 25 anni? Oggi, indipendentemente da Brexit, la città è a un punto di svolta. Può completare la sua trasformazione e diventare metropoli europea o tornare nella medietà in cui era finita. L’area dell’Expo a Rho-Pero, la più infrastrutturata d’Europa, è la piattaforma ideale per una soft economy che può intrecciare finanza, ricerca e servizi, agenzie pubbliche e multinazionali private.
Lo Human Technopole è il primo tassello, un progetto concreto con un piano lungimirante e con l’impegno al finanziamento pluriennale solennemente preso dal Governo. Quattro multinazionali di prima fascia hanno manifestato la volontà di trasferirsi in quell’area, altre seguiranno a ruota. La possibilità di portare in quello stesso sito l’Eba, l’Agenzia europea del farmaco e il Tribunale Ue del brevetto, con le rispettive filiere di competenza, sarebbe un’occasione irripetibile.
Ma le multinazionali, soprattutto quelle della finanza e della ricerca, non fanno sconti: chiedono fiscalità leggera, burocrazia zero, infrastrutture efficienti e un mercato del lavoro flessibile. Milano e il Paese saranno in grado di raccogliere il guanto della sfida? Bisogna fare in fretta e fare bene. Le altre capitali europee sono già in corsa. Sul mercato non ci sono pasti gratis.
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