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Il Bund in altalena tradisce la tensione sulla revisione del Qe

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dopo la bce

Il Bund in altalena tradisce la tensione sulla revisione del Qe

Tutto rimandato a settembre e, soprattutto, ogni soluzione rimane potenzialmente sul piatto per aumentare la portata o rendere più gestibile l’attuale piano di riacquisti di attività pubbliche della Bce. Complice la stabilizzazione dei mercati dopo lo shock Brexit, le probabilità di un’accelerazione immediata sul quantitative easing erano del resto ridotte ai minimi ed è anche per questo motivo che sui mercati obbligazionari ieri non si sono visti particolari scossoni. L’unico sussulto, se così si può dire, lo si è avuto quando il presidente Mario Draghi ha ammesso che durante il Consiglio non sono state affrontate questioni tecniche sulle possibili opzioni riguardo al Public sector purchasing programme: il rendimento del Bund decennale, che aveva raggiunto i massimi post voto britannico sfiorando i tre centesimi ha fatto marcia indietro per chiudere di nuovo sottozero (-0,01%).

Pochi centesimi, eppure significativi perché ricordano che la questione principale sta, più che nella necessità di ulteriore stimolo monetario (da verificare una volta compreso il reale impatto della Brexit), nell’ovviare all’inevitabile collo di bottiglia al quale si andrà incontro con i titoli tedeschi.

Già ben oltre la metà delle obbligazioni sovrane targate Germania e con una scadenza compresa fra 2 e 30 anni non sono più tecnicamente ritirabili dall’Eurotower, perché con un rendimento inferiore al limite fissato del tasso sui depositi (-0,40%): di questo passo, e senza la necessità di ulteriori complicazioni tipo Brexit, nel giro di sei mesi la Bce potrebbe secondo gli analisti di Ubs non trovare più Bund da ricomprare per raggiungere l’obiettivo indicato dal piano. Di qui la risalita dei tassi tedeschi alle indiscrezioni delle scorse settimane su possibili interventi, di qui anche la parziale retromarcia in mancanza di accenni espliciti da parte di Draghi.

Su quali contromisure potrà poi adottare l’istituto di Francoforte per ovviare al problema, gli economisti si stanno confrontando da mesi. La più immediata, ovvero la riduzione del tasso praticato sui depositi, convince poco per una serie di motivi: il più immediato è che il mercato ha dimostrato di sapersi adeguare rapidamente raggiungendo in un baleno il nuovo limite.

Nel recente passato una simile decisione si è poi rivelata utile a indebolire l’euro, poco efficace a disincentivare il parcheggio dei depositi presso l’Eurotower (ancora oltre 300 miliardi di euro) e assolutamente deleteria per i bilanci delle banche. Il fatto che ieri lo stesso Draghi abbia sottolineato come il problema da risolvere nel settore finanziario non riguardi più la solvibilità, ma la redditività degli stessi istituti di credito aumenta i dubbi su un simile intervento. Eliminare del tutto il vincolo del rendimento minimo ai riacquisti è già una soluzione più praticabile, ma anche onerosa per la stessa Bce, mentre sarebbe in teoria più semplice rimuovere in un primo momento il limite del 33% al possesso di un’emissione da parte dell’Eurotower o espandere oltre le scadenze 2-30 anni il piano medesimo: due decisioni che però potrebbero non essere necessariamente risolutive del problema scarsità, specie se il programma dovesse essere esteso oltre il marzo 2017 come molto probabile.

Alla fine resterebbe il nodo nei confronti del quale in fondo tutti si misurano: la deroga al criterio delle quote di capitale Bce per distribuire i riacquisti fra i vari Paesi. La Germania, con il suo 25,6%, attira come noto anche la maggiore fetta delle operazioni Bce, ma ricalibrare i pesi a favore delle nazioni con più titoli sul mercato (Italia, ma anche Francia) scatenerebbe verosimilmente la reazione di Berlino.

Per evitare alzate di scudi contro potenziali aiuti verso gli stati maggiormente indebitati, Marco Valli di UniCredit Research avanza l’ipotesi di una semplice «riduzione della parte tedesca con ridistribuzione fra le altre nazioni in base alle rispettive quote di capitale». Una soluzione di compromesso, adatta a un problema che in fondo resta principalmente politico e quindi di difficile soluzione.

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