L'ex amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, è stato arrestato questa mattina dalla Guardia di finanza. L'arresto rientra nell'ambito dell'inchiesta della Procura della Repubblica di Roma che ha preso avvio un anno e mezzo fa, il 17 febbraio 2015, e che ipotizza i reati di aggiotaggio e di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. L'inchiesta, che raccoglie anche il filone trevigiano, vedeva come indagati oltre a Consoli anche l'ex presidente di Veneto Banca Flavio Trinca. Per Consoli i Pm avevano chiesto la custodia cautelare in carcere ma il Gip non ha ritenuto di applicarla e ha disposto gli arresti domiciliari.
Nelle prime ore di questa mattina sono state eseguite dai finanzieri numerose perquisizioni sul territorio nazionale e il sequestro preventivo di decine di milioni di euro nei confronti di persone legate a Veneto Banca.
Il sequestro ha colpito asset per un ammontare complessivo di 45,4 milioni di euro. A carico di Consoli, che di Veneto Banca è stato anche il direttore generale, sono stati sequestrati un immobile del valore stimato di 1,8 milioni di euro, oltre a liquidità e titoli.
Nell'inchiesta sono indagate altre 14 persone, tra cui ci sarebbero anche dei funzionari della banca, che hanno subito perquisizioni domiciliari. Per il momento si indaga sui bilanci 2013 e 2014, ma non si esclude che le indagini si estendano anche agli anni successivi.
“I reati ipotizzati sono «Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle Autorità pubbliche di vigilanza e aggiotaggio» ”
La Procura ha delegato al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e al Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia una serie di accertamenti su condotte di ostacolo che sarebbero state messe in atto per impedire attività di Bankitalia e Consob. In particolare sono contestate una serie di operazioni, cosiddette “baciate”, in virtù delle quali era la stessa banca a finanziare importanti clienti perchè gli stessi acquistassero azioni del medesimo istituto di credito.
Le stesse operazioni, in questo caso per un ammontare di circa 250 milioni, che sono state rilevate anche nelle indagini sulla Banca Popolare di Vicenza. Un meccanismo per cui il cliente “finanziato” deteneva titoli di Veneto Banca per conto della stessa banca. A volte, secondo gli inquirenti, questo sarebbe avvenuto anche mediante la compiacenza di alcuni investitori, disponibili ad intestarsi temporaneamente ingenti quote di obbligazioni subordinate, sollevando la banca dall'onere di detrarne il controvalore dal patrimonio di vigilanza, come invece prescritto dalla Banca d'Italia.
Anche in tali casi si trattava, secondo l'accusa, di “parcheggi” temporanei di titoli che rientravano invece nella titolarità dell'emittente Veneto Banca. Il tutto sarebbe stato accompagnato dalla concessione di finanziamenti a soggetti in difficoltà economiche, o comunque non in grado di restituire le somme ricevute, «all'insegna – si legge nelle carte - di un diffuso e sostanziale disinteresse del merito creditizio», sostengono gli investigatori.
Con questo sistema - è la tesi di chi indaga - si offriva all'esterno l'immagine di una solidità patrimoniale dell'istituto ben maggiore di quella effettiva, e si ingannava la platea dei risparmiatori e gli altri azionisti, rafforzando così - secondo la ricostruzione, in modo fraudolento - l'immagine della banca e la fiducia nel management. Inoltre, secondo gli elementi acquisiti, mediante queste operazioni i vertici di Veneto Banca potevano falsamente rappresentare agli organi di vigilanza, ossia Bankitalia e Consob, una consistenza patrimoniale superiore al reale, così da rientrare nei parametri di sicurezza che la legge esige per gli istituti bancari.
Infine, la creazione di questa situazione di patrimonio “virtuale” avrebbe consentito di fissare il sovrapprezzo delle azioni su valori assai elevati rispetto allo stato dell'azienda.
Secondo il grave quadro indiziario emerso, tali condotte avrebbero determinato l'”annacquamento” del patrimonio di vigilanza della banca, che, secondo le regole della Banca d'Italia avrebbe dovuto essere rettificato in modo da evidenziare il suo valore reale, indicando il vero ammontare dei prestiti ancora effettivamente riscuotibili.
Invece, nelle segnalazioni periodiche alla Banca d'Italia, Veneto Banca avrebbe continuato ad indicare un valore del patrimonio di vigilanza sovrastimato rispetto a quello effettivo, mascherandone la reale consistenza. Grazie alle ispezioni di Banca d'Italia e di Consob, che hanno portato alla luce l'effettiva situazione dell'istituto, e alle indagini contestualmente condotte dalla Guardia di Finanza, si è quindi potuta ricostruire l'effettiva situazione patrimoniale di Veneto Banca ed individuare le ipotesi di responsabilità che sono alla base dei provvedimenti cautelari emessi dal Gip.
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