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Petrolio, Riad prova a influenzare i mercati (e la concorrenza)

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Petrolio, Riad prova a influenzare i mercati (e la concorrenza)

L’Opec potrebbe anche aver perso la sua centralità nel mondo del petrolio. Di certo non l’ha persa l’Arabia Saudita, che come un navigato banchiere centrale sembra aver addirittura affinato l’arte di indirizzare il mercato con le parole prima ancora che con i fatti. La settimana scorsa aveva riacceso il rally del greggio con messaggi espliciti: le dichiarazioni del ministro Khalid Al Falih, secondo cui Riad è oggi disponibile a «discutere ogni possibile azione» per stabilizzare il prezzo del barile. Ieri è arrivato un nuovo messaggio, molto più opaco, sottile e trasversale, diretto non tanto al pubblico degli investitori quanto ai “colleghi” dell’Opec e più in generale ai produttori concorrenti.

LA PRODUZIONE DI PETROLIO SAUDITA
In migliaia di barili al giorno

Attraverso indiscrezioni raccolte dalla Reuters tra «fonti industriali» si è saputo che Riad potrebbe aumentare ulteriormente la produzione petrolifera, oltre il record storico di 10,7 milioni di barili al giorno raggiunto in luglio, per spingersi fino a 10,8-10,9 mbg: un livello che le consentirebbe di spodestare la Russia, che oggi detiene il primato mondiale con 10,85 mbg.

I rumors hanno inizialmente appesantito le quotazioni del barile, che martedì si erano spinte ai massimi da oltre un mese, ma l’effetto è stato in seguito compensato dall’inatteso calo delle scorte americane, tanto di greggio (-2,5 mb secondo l’Eia) quanto di benzine (-2,7 mb). Dopo una seduta volatile, il Brent ha finito col chiudere a un soffio da 50 dollari al barile, per la precisione a 49,85 $ (+1,3%).

A dire il vero lo stesso ministro Al Falih, nell’intervista che giovedì era misteriosamente filtrata in anticipo ai media internazionali, aveva già alluso alla possibilità di un’ulteriore accelerazione delle estrazioni di greggio in Arabia Saudita, sottolineando che il recente incremento dell’output non era soltanto dovuto ai maggiori consumi interni, che si verificano ogni estate in un Paese in cui molte centrali elettriche sono ancora alimentate a olio combustibile o addirittura petrolio grezzo. «Continuiamo a vedere una forte domanda per il nostro greggio in quasi tutto il mondo», aveva detto Al Falih.

Nei mesi di trattative che avevano preceduto il fallito vertice di Doha - che avrebbe dovuto sancire il congelamento della produzione petrolifera da parte di un gruppo di fornitori Opec e non - Riad aveva sempre mantenuto stabile l’output di greggio, a 10,2 mbg. Solo da giugno in poi i sauditi hanno cominciato ad aprire i rubinetti, in quella che ha tutta l’aria di essere, almeno in parte, un’esibizione di forza.

Se dall’inizio dell’anno l’Arabia Saudita ha aggiunto sul mercato 500mila bg di greggio, l’incremento per l’Iran è stato addirittura di 800mila, forse 900mila bg: in luglio la sua produzione era di 3,6 mbg, questo mese secondo alcune stime sarebbe arrivata a 3,85 mbg. Teheran, che per il suo rifiuto a limitare le estrazioni era stata additata da Riad come responsabile del fallimento degli accordi di Doha, resta tuttora il maggiore ostacolo alla resurrezione del piano, di cui l’Opec vorrebbe discutere a fine settembre ad Algeri con la Russia e altri produttori esterni.

Tra i riottosi stavolta potrebbe però esserci anche l’Iraq, che in aprile si era invece detto disposto a compromessi. Il governo è infatti riuscito di recente a rinegoziare i contratti di collaborazione con alcune major straniere, aprendo la strada ad un aumento della produzione di 250-350mila bg a inizio 2017, sempre secondo fonti Reuters. Baghdad, che aveva raggiunto un output da primato in gennaio, con ben 4,8 mbg, è oggi ridiscesa intorno a 4,6 mbg.

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