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Wells Fargo, dal ceo Stumpf mea culpa sui conti fantasma

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SCANDALI FINANZIARI

Wells Fargo, dal ceo Stumpf mea culpa sui conti fantasma

Il ceo di Wells Fargo,  John Stumpf (AP Photo)
Il ceo di Wells Fargo, John Stumpf (AP Photo)

Scuse, sentite scuse da Wells Fargo e dal suo ceo John Stumpf. Rammarico per l’ultimo grave scandalo che scuote la finanza americana. Uno scandalo all’antica: una cultura da Glengarry Glen Ross, per chi ricordasse il dramma teatrale e cinematografico di David Mamet sulla brutale concorrenza anni Ottanta tra un gruppo di broker immobiliari per vendere di più a ogni costo. Questa volta la gara tra migliaia di funzionari dell’istituto era a chi generava più conti, correnti o di carte di credito, per raggiungere gli obiettivi aziendali. E migliaia di dipendenti hanno fatto letteralmente carte false: hanno aperto conti fantasma, carte di credito all’insaputa dei clienti, ingannato i consumatori inventandosi obblighi ad acquistate prodotti e servizi. Ieri, salito alla sbarra della Commissione Bancaria del Senato che lo aveva convocato per fare luce sulla vicenda, il veterano Stumpf si è detto «rincresciuto» e ha chinato il capo ai critici assumendosi «tutte le responsabilità» per comportamenti e pratiche che hanno «violato l’etica» e «la fiducia del pubblico».

Se capo chino e scuse, però, basteranno per recuperare la reputazione perduta e risolvere il deficit etico della finanza rimane da vedere. Ieri le scuse sono state respinte o accolte con scetticismo dagli esponenti di entrambi i partiti: numerosi parlamentari hanno chiesto le sue immediate dimissioni. Il repubblicano conservatore dell’Alabama Richard Shelby ha denunciato la «corrosione della fiducia» che è alla base del sistema bancario e il democatico liberal Sherrod Brown ha accusato l’istituto apertamenre di «truffa ai danni dei sudati risparmi» degli americani «per arricchire i dirigenti».

Di sicuro non sono bastati i 200 miliardi di dollari tra risarcimenti e multe inflitti in questi anni post-crisi ai colossi globali della finanza per stringere a sufficienza i controlli - o tirare le redini di manager tuttora super-pagati e che hanno quasi sempre evitato, non senza polemiche, incriminazioni e sanzioni personali. Wells Fargo oggi nel mirino è stata anzi una delle banche che più era uscita indenne dalla crisi, vantando un focus proprio su attività tradizionali che rifuggiva dagli eccessi di Wall Street e presentandosi come solida e di buon senso. Era già capitato a JP Morgan, tuttavia, di uscire bene dalle spirali della debacle del 2008 solo per scivolare, in quel caso su una montagna di scommesse sbagliate e occultate su derivati.

Il capo chino di Stumpf - e il suo rammarico per «non essere intervenuto prima» - è oltretutto messo in dubbio da un’altra sua affermazione nel corso delle testimonianza parlamentare: ha assicurato che lo scandalo non è frutto di una «manovra orchestrata». Una difesa d’ufficio che appare difficile da conciliare con l’ampiezza delle violazioni, visto che la stessa banca ha già licenziato oltre 5mila dipendenti che sarebbero sati coinvolti nella “cultura” ultra-aggressiva.
Il caso Wells Fargo, ancor più, offre nuove potenziali lezioni sulla regolamentazione dell’intero settore: rende arduo sostenere che il sistema finanziario soffra di troppe ingerenze governative.

A portare alla luce il comportamento è stata la più nuova e controversa delle authority, il Consumer Financial Protection Bureau voluto dalla senatrice Elizabeth Warren, bestia nera di Wall Street, e fortemente osteggiata dalle banche e dai repubblicani. Ma capace, invece, di dimostrare che la finanza Usa ha ancora un conto aperto e sempre più salato con l’etica e il pubblico.

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